
Il postmoderno vuole la fine delle grandi narrazioni onnicomprensive e con pretesa di certezza obiettiva e universale in favore di forme di approccio teorico "deboli" e per un passaggio a un paradigma di diversi "giochi linguistici" e a un'etica del pluralismo e della tolleranza per la società complessa, globalizzata.
Ecco il riassunto di alcuni aspetti che mi sono sembrati particolarmente interessanti, dell'opera che ha introdotto la postmodernità in termini filosofici.
Nell'introduzione Lyotard mette in relazione le trasformazioni della cultura e arte, nell'era postmoderna con la fine della grandi narrazioni, la scienza stessa che vorrebbe la fine di ogni narrazione (piccola o grande) ha bisogno di una legittimazione che alla fine non può non essere una narrazione. anzi una metanarrazione: cioè una narrazione che serve per legittimare in modo univoco ad es. la scienza ma anche i governi; il postmoderno è appunto l'incredulità di fronte alle metanarrazioni.
Dove risiede allora la legittimità di un sapere? non nella sua potenza ed efficacia, né a livello tecnologico né livello propagandistico populistico.Conclude l'introduzione dicendo che l'autore non è un esperto ma un filosofo e quindi più che dare risposte si interroga e pone a sua volta domande, e che quest'opera consiste di "un rapporto sul sapere nelle società più sviluppate".
Nel primo capitoletto, Lyotard avverte che la conoscenza, rischia di perdere il suo valore in sé, il suo valore formativo e anche il suo valore "politico" per essere sapere monetizzato, cioè ad avere funzione quasi esclusivamente economica, come "conoscenza dei mezzi di pagamento/conoscenza dei mezzi di investimento".
Nel secondo capitoletto, l'autore afferma che il sapere scientifico non è tutto il sapere ma è accanto ed in conflitto col sapere narrativo, inoltre opera un collegamento fra la legittimazione del sapere scientifico e la legittimazione del potere politico, sostenendo che fin da Platone si conosce un gemellaggio fra ciò che è (ritenuto) giusto e ciò che è (ritenuto)vero: chi decide cos'è il sapere?.
-Vi è distinzione fra gli enunciati denotativi che sono descrittivi e dichiarazioni performative che "agiscono" (ad esempio il rettore che annuncia l'apertura dell'università)., e ancora le prescrizioni che presuppongono un autorità. Parlare è combattere come gioco composto da atti linguistici, si gioca con delle regole e queste regole non contengono la loro legittimazione ma sono oggetto di un accordo più o meno esplicito fra i giocatori.
La scienza è un sottoinsieme della conoscenza, ma il sapere non si esaurisce nemmeno sotto la conoscenza, ma vi è anche il sapere pratico, di saper fare, saper vivere ecc, in quest'ottica il sapere non corrisponde solo al criterio di verità ma anche ad es. a quello di giustizia, quello di felicità, di bellezza.La scienza considera gli enunciati narrativi, poiché non sono soggetti a verifiche come frutto di una mentalità arretrata e selvaggia, ma questo fa notare Lyotard fa parte della storia dell'imperialismo occidentale. La scienza tuttavia non può né legittimarsi né fare sapere agli altri che è il vero sapere, senza l'utilizzo del discorso narrativo (paradossalmente), " come provare la prova?".
Vi è inoltre una tensione, fra il cercare la scienza per sé stessa, metterla al servizio della formazione, e della tecnologia.
Commento.
Lyotard in quest'opera svolge un rapporto sul sapere nelle società avanzate contemporanee, e nota che vi è uno strapotere della scienza occidentale rispetto a tutti gli altri saperi, ciò è un derivato della modernità che sta però per finire, la scienza è un tipo di sapere che fornisce molto potere tecnologico e quindi economico ma questo non basta per legittimarla a sapere unico e neanche come sapere migliore degli altri.
Vi è una connessione stretta secondo il filosofo, fra sapere e potere, da un lato il sapere fornisce potere e anzi è il tipo di sapere che si cerca di più ma dall'altro è il potere sotto forma di stati e organizzazioni che decide qual'è il sapere legittimo e quale no.
La scienza si scontra contro ogni tipo di sapere narrativo non scientifico ma allo stesso tempo ha bisogno di un discorso metanarrativo per a) essere legittimata, b) per affermarsi.
La postmodernità vuole essere la fine del pensiero unico e "forte" cioè certo e universale, in favore del pluralismo di "pensieri deboli". Non si può fare un'analisi dei saperi in modo astratto ma bisogna analizzare anche le società nelle quali essi prosperano, inoltre la scienza si differenzia dagli altri saperi perché è confinata alla comprensione di soli specialisti ma è accettata da tutti.
Critica.
Personalmente mi piace molto l'idea della pluralità di sapere in dialogo fra loro, e l'idea di pensieri "deboli" che non hanno pretesa di certezza o superiorità, senza però finire nel relativismo estremo dove ogni opinione ha il valore di un'altra senza riguardo verso le argomentazioni e le verifiche empiriche.
Mi sembra anche che la critica alla scienza sia talvolta eccessiva, è pur vero che la scienza non è neanch'essa la bibbia mandata da Dio ed è fatta pur sempre da uomini e da organizzazioni che hanno i loro interessi e i loro difetti ma che non si possa non notare le importanti differenze fra il sapere scientifico e quello narrativo, non voglio dire che il sapere scientifico sia migliore, ma a ciascuno il suo campo: la scienza opera un lavoro minuzioso, rigoroso e verificato che va distinto ma che anche deve dialogare col sapere narrativo che ha pure da dire molto.
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