Nella
propria tesi di laurea del 1841, intitolata Differenza tra la filosofia
della natura di Democrito e quella di Epicuro, e dunque precedente al passo sopra
citato della Sacra Famiglia, Marx effettua un confronto tra la filosofia
di Democrito e quella di Epicuro, come si evince già dal titolo. Riprendiamo
qui brevemente alcuni passi delle sue riflessioni: Democrito ed Epicuro hanno
svolto entrambi una trattazione della teoria sugli atomi, che risultano tra
loro contrapposte sotto molti aspetti. Democrito, infatti, trasforma la realtà
sensibile in parvenza soggettiva, mentre Epicuro ne fa un’apparenza oggettiva[1].
Democrito è dedito a osservazioni di carattere empirico, in quanto
insoddisfatto del sapere garantito dalla filosofia. Proprio per questo motivo,
dà vita ad un’indagine eminentemente empirica, come testimoniato dalla sua
vicenda biografica: alla ricerca del sapere, egli si reca dai sacerdoti
d’Egitto per apprendere la geometria, dai Caldei di Persia e fino al Mar Rosso;
come detto, egli non trova soddisfazione nella filosofia e, quindi, va in cerca
della verità attraverso numerosi viaggi per il mondo: il sapere che egli
ritiene vero è privo di contenuto e, viceversa, quello che gli offre contenuto
è privo di verità[2]. Aneddoticamente: «Egli si
sarebbe acciecato affinché la vista sensibile non offuscasse l’acutezza dello
spirito»[3],
e ancora: «egli è quello stesso uomo che aveva girato mezzo mondo ma senza
trovare ciò che cercava»[4].
Epicuro,
al contrario, trova la sua soddisfazione e la sua beatitudine nella filosofia;
uno dei suoi motti è, infatti: «Tu devi servire la filosofia per ottenere la
vera libertà»[5]. Epicuro disprezza le
scienze positive e le scuole antagoniste, in particolar modo quella scettica,
che lo accusa di essere nemica della scienza in quanto sostenitrice di teorie
inconciliabili non solo con la scuola scettica, ma anche con quella stoica.
Epicuro si vanta inoltre di non aver mai avuto alcun maestro e di essere
autodidatta. Egli, al contrario di Democrito, non viaggia molto, ma lascia il
suo giardino ad Atene solamente due o tre volte in vita sua, e unicamente per
andare a trovare amici e conoscenti a lui cari nella regione della Ionia, non
tanto per motivi di studio o ricerca. La differenza tra questi due filosofi si
può efficacemente cogliere anche a partire dai racconti che riguardano le
rispettive morti: mentre Democrito, disperando della scienza, si accieca,
Epicuro invece si immerge in un bagno caldo, chiede del vino e raccomanda ai
suoi amici di restare fedeli alla filosofia[6].
Per
quanto riguarda la forma del loro pensiero e la loro filosofia, Democrito
considera la necessità come forma di riflessione della realtà: essa, infatti, è
per Democrito il destino, la legge, la provvidenza ed è la creatrice del mondo.
La sostanza della necessità è caratterizzata dall’antitipia (il rimbalzare e il
respingersi degli atomi)[7],
dal movimento e dagli urti della materia. Per Epicuro, la necessità non è da
intendersi come la dominatrice di tutte le cose, come sostengono alcuni
attribuendogli una concezione deterministica, in quanto taluni fenomeni sono
casuali, mentre altri dipendono dal nostro arbitrio. Storicamente, dunque,
Democrito sviluppa la propria filosofia naturale attorno al concetto di
necessità, mentre Epicuro a quello di casualità.
Nella
sua fisica, Epicuro sostiene la teoria di un triplice movimento degli atomi nel
vuoto: il primo è quello della caduta in linea retta, il secondo ha inizio
quando l’atomo devia dalla linea retta e il terzo è dato dalla repulsione degli
atomi. Mediante la declinazione degli atomi, Epicuro spiega sia la repulsione
sia la libertà. Inoltre, come il punto è soppresso nella linea, così ogni corpo
che cade è soppresso nella linea retta che esso descrive[8].
In questo caso, non ha importanza la qualità specifica: una mela che cade,
infatti, descrive una linea retta quanto qualsiasi altro oggetto. Quando si
concepisce un corpo nel movimento della caduta, in questo frangente esso non è
altro che un punto che si muove in uno specifico modo di essere, un punto che
perde la propria individualità riducendosi alla linea che esso descrive[9].
Concependo il vuoto come qualcosa di natura spaziale, l’atomo costituisce
dunque la negazione dello spazio astratto in quanto espressione di una parte
infinitesimale dello stesso.
La
solidità, ovvero l’intensità che si afferma contro l’esteriorità dello spazio
in sé, può aggiungersi solo tramite un principio che neghi lo spazio nella sua
sfera, così come è il tempo nella natura. L’atomo, essendo il suo primo
movimento rettilineo, è determinato dallo spazio, ma, allo stesso tempo, il suo
concetto si identifica con il suo essere pura forma, negazione di relatività e
di ogni relazione. L’esistenza relativa che si contrappone all’atomo consiste
nella linea retta. Tuttavia, la negazione immediata del moto in linea retta dà
vita ad un altro movimento, che si rappresenta spazialmente nella sua
declinazione, in un movimento di carattere obliquo.
Con
il movimento dell’atomo in linea retta, Epicuro rappresenta la materialità: con
la declinazione dalla linea retta, infatti, si realizza la determinazione
formale. La declinazione dell’atomo dalla linea retta non costituisce una
determinazione particolare, presente come elemento casuale all’interno della
fisica epicurea, ma, al contrario, rappresenta la legge che domina tutta la
fisica di Epicuro[10].
Come l’atomo si libera della sua esistenza relativa, così fa la linea retta
attraverso una operazione di astrazione e deviando di un poco dalla verticale.
Come la filosofia epicurea astrae dalla singolarità, così lo scopo dell’agire è
l’atarassia, ovvero il raggiungimento della serenità imperturbabile, il liberarsi
dal dolore e dal turbamento; come gli dèi non si curano del mondo, anche il
saggio epicureo vive appartato, lontano dai problemi tumultuosi della politica[11].
Il
concetto stesso di declinazione dell’atomo identifica la negazione di ogni
movimento o relazione che siano determinati da un’altra esistenza particolare:
infatti, esso si realizza una vera e propria astrazione dall’esistenza. Questa
negazione dell’atomo di ogni rapporto con altri atomi è il clinamem: la
repulsione tra i molti atomi e dei molti atomi è nient’altro che la necessaria
e fondamentale lex atomi[12].
Senza la declinazione, come afferma Lucrezio[13],
gli atomi non si sarebbero scontrati né incontrati e il mondo non sarebbe mai
stato creato. Democrito, al contrario, vede nel movimento forzato, inteso come
cieca necessità, l’attuazione dell’atomo; egli vede come sostanza la necessità
del turbine che ha origine dalla repulsione e dal continuo urtarsi degli atomi:
nella repulsione di Democrito, c’è solo il lato materiale come frantumazione,
ma manca invece l’aspetto ideale dove il movimento è autodeterminazione[14].
Democrito non considera il concetto di Uno come astrazione dell’atomo. Epicuro
invece, indagando astrattamente il concetto di atomo, lo spiega attraverso la
teoria della repulsione, che è la contraddizione insita nel concetto di atomo.
Similmente, Epicuro spiega la formazione del contratto in politica e quello
dell’amicizia in ambito sociale, che viene posta tra le virtù più alte[15].
Le
qualità, secondo Epicuro, sono un qualcosa di mutevole, mentre gli atomi sono
immutabili e astratti[16].
L’avere delle qualità e il concetto di atomo sono in apparente contraddizione.
L’avere delle qualità oltretutto è un fatto, in quanto esse conferiscono
all’atomo l’esistenza empirica, che, proprio tramite le qualità, tuttavia,
contraddice il concetto stesso di atomo: esso, infatti, da una prospettiva
empirica, è un qualcosa di alienato, differente dalla sua essenza. Non a caso,
ogni volta che introduce una qualità, Epicuro determina anche la qualità
opposta: tutte le qualità contraddicono sé stesse[17].
Per
Democrito, le qualità non sono in rapporto al concetto di atomo, né prende in
considerazione la contraddizione tra concetto di atomo ed esistenza empirica:
questo perché tutta la sua fisica cerca di comprendere le qualità dell’atomo in
rapporto alla natura concreta, che va poi formandosi a partire proprio dalle
qualità stesse.
Epicuro,
inoltre, afferma che gli atomi abbiano tre qualità, ovvero: grandezza, forma e
pesantezza. Nelle opere di Democrito, invece, sono descritte solo la grandezza
e la forma: questo perché egli studia gli atomi dal punto di vista della loro
struttura nel mondo fenomenico e non dal punto di vista dell’atomo come
astrazione. La pesantezza in Democrito non viene considerata una proprietà
posseduta da tutto ciò che è corporeo; Epicuro afferma che grandezza, forma e
pesantezza sono qualità insite nell’atomo stesso, mentre forma, posizione e
disposizione sono differenti da atomo ad atomo[18].
Si
nota quindi come in Epicuro si evidenziano le proprietà astratte dell’atomo,
piuttosto che quelle empiriche. Democrito, al contrario, si concentra
prevalentemente sul definire le qualità dell’atomo nella sua natura materiale,
concreta. In Epicuro, come detto, ogni qualità viene posta in contraddizione:
gli atomi hanno una certa grandezza, ma la misura di grandezza viene allo
stesso tempo negata; vi sono infatti solamente alcune variazioni di grandezza
come, per esempio, la negazione della piccolezza infinita, che contraddice
tuttavia il concetto stesso di grandezza[19].
Democrito, al contrario, ammette anche gli atomi con grandezza massima, purché
indivisibili: essi hanno una certa forma, ma allo stesso tempo essi non la
possiedono, poiché il concetto astratto di atomo contiene il concetto di
uguaglianza, che è tuttavia privo di forma: le differenze tra gli atomi sono
indefinite, ma non infinite. Al contrario, per Democrito vi sono infinite
forme. In maniera coerente Epicuro sostiene che, se gli atomi avessero ognuno
una forma particolare, vi sarebbero differenze infinite tra gli atomi e quindi
anche atomi di grandezza infinita.
Epicuro,
dunque, afferma il contrario di Leibniz[20],
secondo cui non ci sono monadi uguali, mentre per il filosofo greco vi sono
infiniti atomi con la stessa forma: in questo modo, la qualità della forma
viene dunque negata, dal momento che tale concetto non può sussistere se si
considerano figure che non si distinguono tra loro. Epicuro interpreta la
pesantezza come differenza e gli atomi come centri di gravità simili a quelli
che sarebbero poi stati individuati per i corpi celesti. La determinazione del
peso viene quindi meno in senso sostanziale e gli atomi si muovono nel vuoto
con uguale velocità. Siccome la qualità della pesantezza è intesa come
differenza, essa ha una funzione nella repulsione e nelle combinazioni continue
tra gli atomi. Epicuro, secondo Marx, ha dunque così spiegato la contraddizione
tra essenza ed esistenza contenute nel concetto di atomo, fornendo per la prima
volta una teoria atomistica, seppur in nuce rispetto a quella contemporanea;
invece, attenendosi al solo aspetto materiale, Democrito formula ipotesi adatte
al solo uso empirico, senza fondare una vera e propria scienza teorica.
Epicuro
distingue poi tra principi ed elementi[21]:
i primi consistono negli atomi, non occupano spazio, sono conoscibili tramite
l’intelletto e la loro caratteristica peculiare è di non essere divisibili; i
secondi sono sempre gli atomi, ma con le attribuzioni di qualità. Si noti,
dunque, che si tratta sempre dello stesso concetto di atomo, visto da due
diverse prospettive. Epicuro spesso adotta un ragionamento composto da tre
fasi: in primo luogo, attribuisce qualità comuni a un medesimo concetto; in
secondo luogo, asserisce diverse determinazioni di un concetto, che ha quindi
svariate esistenze autonome, e infine trova una realtà fissa astratta che,
separata dal contesto, ha la forma della singolarità isolata, risolvendo così
in parte la contraddizione apparente che si era creata tra le due proposizioni
precedenti.
Nel
caso dell’infinito, esso non costituisce una sostanza particolare né qualcosa
oltre gli atomi e il vuoto, ma è una determinazione accidentale. L’infinito ha
tre significati diversi; esso esprime infatti una qualità comune agli atomi e
al vuoto e si può intendere:
-
come
infinità dell’universo;
-
come
molteplicità di atomi che vengono contrapposti al vuoto;
-
come
vuoto illimitato che è l’opposto dell’atomo, in quanto privo di determinazioni
particolari e non limitato da sé stesso[22].
L’infinito è dunque una
determinazione degli atomi e del vuoto, ma è anche una realtà a sé stante con
una sua natura specifica.
Ancora,
in Democrito l’atomo ha solo un significato: esso è elemento di un sostrato
materiale. Per Epicuro, invece, l’atomo ha il duplice significato di principio
e di fondamento, come principio astratto e come realtà materiale: forse è
questa la più profonda differenza delle due teorie atomistiche. L’atomo è fuori
da ogni considerazione di mutevolezza o relatività e anche il tempo, quindi, va
escluso dal concetto di atomo. In ciò, invece, Epicuro e Democrito sono
concordi, seppur sussistano, come visto, delle differenze particolari[23].
Democrito, per esempio, non considera il tempo nella teoria atomistica, non
ritenendolo necessario; egli pensa il tempo come eterno e come la prova che non
tutto ha un’origine: in questa teoria, tuttavia, non si considera il tempo come
qualcosa di sostanziale, ma come in contraddizione con lo stesso concetto di
temporalità; infatti, per Epicuro, il tempo non è sostanziale, non riguarda il
mondo, ma è forma assoluta della fenomenicità, si trova nell’autocoscienza del
soggetto filosofante. Posto l’accidente come il mutamento della sostanza,
dunque, il tempo è accidente dell’accidente, «il mutamento come riflettentesi
in sé, il cambiamento come cambiamento»[24].
La natura ha dunque due forme: come
forma passiva consiste nell’aggregazione, come forma attiva nel tempo. A tal
proposito, Marx scrive: «Se io considero l’aggregazione secondo la sua
esistenza, allora l’atomo esiste dietro di essa, nel vuoto, nell’immaginazione;
se considero l’atomo secondo il suo concetto, allora l’aggregazione o non
esiste affatto o esiste solo nella rappresentazione soggettiva; essa, infatti è
una relazione in cui gli atomi sono autonomi, chiusi in sé»[25]. Prosegue poi Marx:
Invece il tempo,
il cambiamento del finito, in quanto questo cambiamento viene posto come tale,
è la forma reale che altrettanto separa il fenomeno dall’essenza e lo pone come
fenomeno quando lo riconduce nell’essenza. L’aggregazione esprime solo la materialità
sia degli atomi sia della natura che da essi sorge. Invece il tempo è nel mondo
fenomenico ciò che il concetto dell’atomo è nel mondo dell’essenza, cioè
l’astrazione, l’annullamento e la riconduzione di ogni esistenza determinata
nell’esser-per-sé[26].
In Epicuro, lo spazio
come forma passiva della fenomenicità viene contrapposto al tempo, che
costituisce, come detto, la forma attiva[27]:
il fenomeno è dunque estraneazione dell’essenza. Secondo Democrito, invece,
essendo l’aggregazione la sola forma della fenomenicità, il fenomeno di per sé
non mostra di essere qualcosa di distinto dall’essenza: in Democrito, esistenza
ed essenza si confondono. Il tempo è parte attiva e come fuoco consuma il
fenomeno e lo relativizza, rendendolo inessenziale. Epicuro pensa il tempo come
cambiamento di per sé, come riflessione del fenomeno e così la fenomenicità
viene posta in maniera obbiettiva, viene oggettivata, e la percezione empirica
diventa il criterio della natura materiale. Un’importante eccezione è l’atomo
che, come fondamento, può venire compreso soltanto tramite un’intuizione della
ragione.
Il
tempo, come forma della percezione sensibile, viene pensato con una particolare
esistenza: il concetto di tempo si forma dalla riflessione del fenomeno come
mutevolezza di per sé e ha la sua esistenza nella coscienza; la sensibilità
dell’uomo è il tempo nella sua concretezza, la riflessione del mondo in sé
stesso[28].
Il tempo per Epicuro ha avuto inizio quando gli accidenti dei corpi percepiti
furono pensati come accidenti, è dunque la stessa percezione sensibile
l’origine del tempo: «i sensi sono perciò
l’unico criterio nel dominio della natura concreta, come la ragione astratta lo
è nel mondo degli atomi»[29].
Democrito,
rispetto ai suoi contemporanei, aveva una conoscenza piuttosto avanzata in
ambito astronomico, conoscenza che però non fece scaturire in lui un vero e
proprio interesse filosofico, limitandosi ad una riflessione puramente
empirica, priva di un nesso coerente con la dottrina degli atomi[30].
La teoria astronomica di Epicuro e, in particolare, la sua riflessione intorno
alle meteore sono in contrasto con Democrito e con la filosofia greca in
generale: i filosofi greci, infatti, veneravano i corpi celesti come delle
specie di divinità di una originaria religione naturale e, come dice Marx,
descrivevano l’autocoscienza come il sistema solare dello spirito[31];
secondo Epicuro, invece, non bisogna essere turbati dai movimenti dei corpi
celesti, così come non bisogna temere le meteore come qualcosa di natura
divina: egli, infatti, definisce queste credenze come stupide, «titaniche
superstizioni»[32].
Epicuro,
infine, non manca di affiancare considerazioni etiche allo studio
dell’astronomia: queste sono volte al raggiungimento dell’atarassia e il suo
scopo è quello di rimuovere la paura intorno alle meteore e ai corpi celesti in
generale. Per Epicuro, infatti, essi sono semplicemente la rappresentazione
reale degli atomi. Proprio in questo frangente, la filosofia di Epicuro
raggiunge il proprio culmine: «Per Epicuro l’assolutezza e la libertà
dell’autocoscienza sono l’universalità esistente»[33].
Epicuro, secondo Marx, è il più grande illuminista greco[34],
in quanto svela come i corpi celesti siano in realtà semplici superstizioni
dell’autocoscienza e allo stesso tempo ne dà una spiegazione fisica ed etica
attraverso la teoria atomistica.
[1] Cfr. K. Marx, Differenza tra la
filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, traduzione
italiana di M. Cingoli, Editori Laterza, Bari-Roma, 2023.
[2] Ivi, p. 18.
[3] Ivi, p. 19.
[4] Ivi, p. 18.
[5]
Ibidem.
[6] Ivi, p.19.
[7]
Ibidem.
[8] Ivi, p. 26.
[9] Ibidem.
[10] Cfr. ivi, p. 29.
[11] Cfr. ivi, p. 30.
[12] Cfr. ibidem.
[13] Cfr. ivi, p. 31.
[14]
Cfr. ivi, p. 32.
[15] Cfr. ibidem.
[16] Cfr. ivi, p. 33.
[17] Cfr. ibidem.
[18] Cfr. ivi, p. 35.
[19] Cfr. ivi, p. 36.
[20] Cfr. ivi, p. 37.
[21] Cfr. ivi, p. 39.
[22] Ivi, p. 41.
[23] Cfr. ivi, p. 43.
[24] Ivi, p. 44.
[25] Cfr. ibidem.
[26] Ibidem.
[27] Cfr. ivi, p. 45.
[28] Ibidem.
[29] Ivi, p.
47.
[30]
Ibidem.
[31]
Ibidem.
[32] Ivi, p. 49.
[33] Ivi. p. 55.
[34] Ibidem.
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