Si hanno due
orientamenti del materialismo francese, di cui uno trae la sua origine da
Descartes, l’altro da Locke. Questo secondo è prevalentemente un elemento della
cultura francese e sbocca direttamente nel socialismo. Il primo, il
materialismo meccanico va a finire nella scienza naturale francese vera e
propria. […] Il materialismo meccanico francese ha accolto la fisica di
Descartes in opposizione alla sua metafisica. Nell’ambito della sua fisica, la
materia è la sostanza unica, il fondamento unico dell’essere e del conoscere.
Questa scuola ha inizio con il medico Le Roy, raggiunge il punto più alto con
il medico Cabanis, e il medico Lamettrie è il suo centro. […] Oltre alla
confutazione negativa della teologia e della metafisica del secolo XVII, c’era
bisogno di un sistema positivo antimetafisico. C’era bisogno di un libro che
ordinasse in un sistema la prassi di vita di allora e la fondasse teoricamente.
L’opera di Locke sull’origine dell’intelletto umano giunse d’oltre Manica
proprio a proposito. […] Il vero progenitore del materialismo inglese e di
tutta la scienza sperimentale moderna è Bacone […] in Bacone, in quanto suo
primo creatore, il materialismo racchiude in sé, in un modo ancora ingenuo, i
germi di uno sviluppo onnilaterale. La materia, nel suo splendore poeticamente
sensibile sorride a tutto l’uomo. […] Come il materialismo cartesiano va a
finire nella scienza naturale vera e propria, così l’altro orientamento del
materialismo francese sfocia direttamente nel socialismo e nel comunismo. Se si
muove dalle dottrine del materialismo sulla bontà originaria degli uomini e
sulla loro eguale capacità intellettuale, sulla onnipotenza dell’esperienza,
dell’abitudine, dell’educazione, sull’influsso delle circostanze esterne
sull’uomo, sulla grande importanza dell’industria, sul diritto al godimento
ecc., non occorre una grande acutezza per cogliere la connessione necessaria
del materialismo con il socialismo e con il comunismo[1].
[1]
Marx
K., F. Engels, La sacra famiglia- Critica della critica critica, a cura di Aldo Zanardo, Editori
Riuniti, Roma 1967,
p. 162.
Bacone, a differenza di
Marx, preferisce Democrito ad Epicuro in quanto Bacone si interessa non tanto
di filosofia quanto della scienza della natura vera e propria e così similmente
faceva Democrito che non cercava tanto risvolti etici e filosofici nello studio
degli atomi quanto soprattutto di comprendere a fondo gli aspetti
naturalistici-materiali. Similmente a Marx, egli considera la compassione fra
le prime qualità umane. Inoltre, sono entrambi contro il dogmatismo astratto
rappresentato dai seguaci di Aristotele e hanno in comune il nesso tra la
concezione della natura e la concezione etico-politica. Il concetto di materia
ha un’importanza fondamentale in tutta l’opera di Bacone: infatti, è mediante
un’adeguata comprensione dei processi corporei e materiali della natura su cui
si fonda il programma da lui proposto per la rivoluzione scientifica del sapere
che si basa la conoscenza sperimentale dei fenomeni materiali.
La
realtà è costituita da materia[1],
la quale ha una serie di tendenze appetitive da cui prendono forma i corpi, vi
è un primordiale parallelismo fra la sfera intellettuale e quella materiale.
Nella natura vi sono tensioni contrapposte e in continua evoluzione, tali che
la natura stessa appare come una selva intricata; la selva è anch’essa un
materiale che è adatto a venir conosciuto ed elaborato e la mente stessa viene
paragonata a una foresta che adeguatamente coltivata produce frutti rigogliosi.
La mediazione fra la realtà e la mente è complessa e problematica: se la verità
è il riflesso della realtà, questa realtà materiale viene all’intelletto
mediante immagini più o meno distorte e l’immaginazione contamina
inevitabilmente la rappresentazione della realtà con illusioni, desideri ed
errori. La natura ultima della realtà è costituita dagli appetiti originari
della materia: in Bacone, essa si caratterizza come materia desiderante. Vi è quindi
una sfera etica propria dell’anima e una sfera che riguarda l’universo naturale:
questa ripartizione non è assoluta in quanto vi è un’originaria unità che
connette la verità al bene tra intelletto e volontà[2].
Marx
vede in Hobbes l’organizzatore sistematico della filosofia di Bacone e sostiene
che il materialismo facendo riferimento al Leviatano diventa misantropo.
Hobbes credeva che gli esseri umani fossero egoisti e quindi sosteneva la
necessità di un potere centrale forte, per lui era meglio sopportare un tiranno
piuttosto che fare una rivoluzione e non si concentrò molto sull’economia ma
riteneva che la proprietà privata fosse necessaria per la pace; Marx, che
sostiene che la natura umana sia condizionata dalla situazione materiale e
sociale e sostiene che il capitalismo genera ingiustizia e alienazione, critica
l’idea di uno stato sovrano mirando a una società senza le classi in cui lo
Stato sarebbe stato superfluo e proporrà una rivoluzione proletaria per
rovesciare il sistema capitalista; egli vedeva inoltre la vera libertà
nell’eliminazione delle disuguaglianze economiche, mentre Hobbes sostiene che
la libertà consiste nel vivere senza interferenze da parte degli altri.
Altro
filosofo che avrà ascendente sul metodo scientifico e che risulta fondamentale
nella ricostruzione di Marx è Cartesio; secondo Marx, infatti, il materialismo
derivante da Cartesio va a fornire la base filosofica della scienza: si può dividere in due parti il
pensiero di Cartesio: non mi occupo in questa sede della sua parte metafisica,
ma mi concentro sulla sua teoria meccanicistica e dell’uomo come macchina
vivente, che sarà fondamentale per tutta la filosofia e scienza della natura, e
in maniera critica anche sul marxismo come scienza. Cartesio stesso racconta di
come si interessava alla matematica per le evidenze e certezza che vi trovava[3]
e sperava di fondare su di essa anche
altre scienze: egli era infatti desideroso di imparare a distinguere con metodo
il vero dal falso e di imparare a leggere il libro del mondo.
Come
metodo cercava di trovare la verità su fondamenta stabili, mettendo in rigoroso
dubbio tutta la realtà. Così facendo, Cartesio si trovò davanti ad una verità
indubitabile: “penso, dunque sono”. Da questa prima verità si arriva
deduttivamente al fatto che abbiamo un’anima e all’esistenza di Dio che l’ha
creata. Cartesio non crede che Dio creò il cosmo per l’uomo: la terra non è che
un puntino nell’universo e la trama materiale è intelleggibile, l’universo è lo
scenario di un gioco continuo delle particelle corporee che collidendo fra loro
secondo le leggi naturali formano le molteplici combinazioni dell’essenza della
materia.
Autore
polemico verso Cartesio è Gassendi il quale riprende il pensiero di Epicuro.
Gassendi, in quanto avversario dell’aristotelismo e di ogni metafisica a
partire da quella cartesiana, oltre che sostenitore e rinnovatore
dell’epicureismo, rientra a buon diritto tra i materialisti che hanno ispirato
pur indirettamente il marxismo. Pierre Gassendi è polemico verso la metafisica
cartesiana, e si scaglia non tanto contro la metafisica in sé, ma proprio
contro il modo e il presunto valore di tali dimostrazioni metafisiche: dal
cogitare alla res cogitans si fa un passaggio metafisico non
giustificato, contrario anche al tentativo di risolvere la materia estesa
nell’estensione con la conseguente riduzione alla geometria della fisica:
Gassendi, infatti, nega anche la distinzione fra anima e corpo. Gassendi tende
a rigettare tutta la metafisica cartesiana assieme alla metafisica
aristotelica-scolastica[4]
a favore di una conoscenza empirica e sperimentale. In questo modo, la fisica
non nega del tutto la metafisica, ma si libera dal suo condizionamento.
Gassendi cerca di conciliare epicureismo e cristianesimo: infatti, gli atomi
sono ordinati seguendo le finalità di Dio. In questo modo, atomismo e finalismo
coesistono nel suo pensiero. La felicità è il sommo bene[5]
ed è desiderata da tutti gli uomini. Ad Aristotele, Gassendi preferiva il
pensiero di Epicuro, più consono al pensiero scientifico; per fornire una
teoria della conoscenza legata all’evidenza sensibile e ad una concezione
atomistica spiegabile meccanicisticamente e non condizionata dalla teologia e
fornire alla fisica legittima autonomia.
Marx
apre la sua “battaglia critica contro il materialismo francese” riprendendo gli
scritti di Bauer su Spinoza secondo cui lo spinozismo vedeva la sostanza come
materia e dava alla materia un nome più spirituale. Spinoza è considerato uno
dei padri del materialismo, la prima testimonianza dell’incontro filosofico tra
Marx e Spinoza è data dal Quaderno Spinoza[6],
una serie di estratti che il giovane studente di filosofia trae dal Tractatus
theologico-politicus e dall’epistolario del filosofo. Nella prima parte
trattando della natura dei miracoli Marx passa all’esclusione del
sovrannaturale come frutto dell’ignoranza poiché il miracolo è un fatto di per
sé limitato da cui non si possono di per sé derivare Dio o enti sovrannaturali.
Il miracolo avviene dentro la natura ma è anche definito sovrannaturale e
diventa quindi assurdo in quanto occorrerebbe rompere le leggi della natura.
Marx riprende l’affermazione spinoziana secondo cui qualsiasi verità che si
vuol dimostrare attraverso il miracolo conduca necessariamente in errore. Marx
mediante la composizione che opera degli elementi del testo spinoziano cerca di
dimostrare la legge della necessità universale, cioè che tutto ha una causa
naturale.
A questo punto Marx indaga il rapporto tra
fede e ragione nell’opera di Spinoza, argomento importante perché qui Spinoza
pone le basi della sua critica nei confronti della religione che costituirà il
fondamento della sua opera di critica della teoria politica. Avendo Marx
dimostrato che in natura tutto ha una causa necessaria e non vi possono essere
infrazioni delle leggi naturali, prende poi in considerazione i principi della
fede come necessari per l’obbedienza del popolo e dunque per l’esercizio del
potere. Mostra come la fede venga insegnata con la scrittura il cui scopo è
quello di insegnare l’obbedienza. La fede non insegna la verità quanto la pietà,
essa consiste in quelle insieme di credenze necessarie per indurre il popolo
all’obbedienza e che non hanno alcun bisogno di essere vere. Credere che le
decisioni del monarca fossero dirette dalla volontà di Dio permetteva al potere
sovrano di esercitare qualsiasi diritto sul popolo, e riferendosi alla natura
della Repubblica ebraica la vita stessi degli ebrei dipendeva dalla volontà del
sovrano.
Nella
sezione centrale del Quaderno Spinoza sono esposti i fondamenti della società civile, oltre
al concetto di natura e diritto naturale Marx delinea le condizioni del
contratto sociale e del potere assoluto. Da qui il concetto di collettivo è
utilità di libertà e di causa, Marx nei suoi frammenti riporta il concetto
spinoziano di jus sive potentia in cui viene definito che è la potenza
che definisce il diritto di ciascuno e che stabilisce cosa l’individuo può fare
o non fare. Il diritto individuale non può essere determinato dalla sana
ragione ma piuttosto dalla cupidigia e dalla forza. Marx non chiarisce in
maniera approfondita le ragioni secondo le quali Spinoza sia portato a fare un
tale discorso ma si limita a riportarne le linee fondamentali. Ciò che
veramente gli interessa far emergere è come a partire dalla condizione naturale
dell’uomo occorra la stipulazione di un contratto sociale[7]
come fondamento della costituzione dello Stato e garanzia del suo benessere
quindi di quello di tutti gli individui. Il diritto inteso da Spinoza e ripreso
poi da Marx parte dai rapporti di forza della società civile, ciò si realizza
pienamente quando gli uomini si uniscono per avere necessariamente un diritto
collettivo, in modo che questo non sia più determinato dalla forza o
dall’istinto di ciascuno bensì dal potere e dalla volontà di tutti. L’unica
possibilità per cui questo progetto possa concretizzarsi, sta nel cedere i
propri diritti non a un uomo soltanto ma all’intera società.
Marx
può mostrare così che il vero fine dello Stato non sarà quello di rendere
schiavo il cittadino quanto quello di garantirne la libertà di espressione, a
differenza di ciò che era emersa nell’analisi dello stato ebraico. A questo
punto Marx, attraverso le parole di Spinoza delinea per la prima volta il
concetto di democrazia rappresentata come la forma perfetta di Stato. Come si
può giungere alla formazione dello stato democratico in cui il potere del
singolo deve andare in favore del potere collettivo ed è la garanzia di una
vita vissuta in libertà. Schiavo è colui che agisce unicamente spinto dal suo
istinto e dalle sue passioni, ed incapace di realizzare il proprio utile e per
ottenere sicurezza deve rivolgersi al sovrano. Quando invece l’uomo è guidato
dalla ragione[8] ricerca la propria salute
e cerca di imporla come legge suprema del governo così che tutto il popolo si
riconosca in uno Stato volto al benessere comune e non ne sia servo. Per questo
motivo per entrambi gli autori lo Stato democratico è il più naturale e
conforme alla libertà di ciascun individuo. Nonostante ciò, le azioni devono
essere regolate al bene comune, la potenza dell’uomo è determinata sia dalla
sua ragione che dai suoi affetti. Le passioni non devono essere eliminate ma
organizzate per il bene della famiglia e della collettività. Spinoza afferma
che è importante che l’uomo viva seguendo le leggi e la ragione, la ragione
deve prevalere perché è l’unica in grado si stabilire concretamente una
sicurezza civile per l’affermazione dell’uomo. Questa idea è centrale per la
definizione di “impero della moltitudine”: il trasferimento dei diritti
naturali singolari in favore della potenza e del diritto della moltitudine
permette la fondazione della democrazia come forma di governo assoluta.
Proprio
su questa linea insiste Marx: lo Stato democratico gli appare il più naturale
di tutti per gli uomini che intendono vivere liberamente la cui deduzione è
ancora più immediata di quanto fosse stata in Spinoza. L’assolutezza dello
Stato democratico si fonda sulla razionalità intesa come garanzia assoluta per
la società civile e difesa contro la degenerazione del potere, l’unica cioè
capace di conservare all’interno dello Stato la presenza del diritto naturale
in una condizione permanente.
Nell’analisi
spinoziana l’Homo homini lupus si sublima in Homo homini Deus, è
il riconoscimento della propria razionalità che conduce all’accordo con l’altro
che rappresenta il modo di aumentare la potenza della società. La multitudo
non è più condizione negativa ma la premessa positiva del costituirsi del
diritto. Nel pensiero spinoziano Marx vede con chiarezza la possibilità di
autoliberazione umana ed emancipazione sociale. Inoltre, il sorgere
dell’individuo moderno coincide con la realizzazione della libertà di pensiero
garantita dalla democrazia. Marx non trascrive e non accenna alla struttura
delle altre forme statali o alla loro natura, a differenza di Spinoza che le
aveva invece precisamente descritte nel Trattato teologico-politico,
perché pensa e trova che siano sufficienti tutte le spiegazioni fatte sulla
democrazia per rendere automatica l’esclusione di qualsiasi altra forma di
governa. La democrazia è l’unica forma di Stato che può essere ritenuta volta
unicamente al benessere dell’individuo e della collettività. Qualsiasi altra
forma di stato sarebbe incapace di promuovere il progetto etico di liberazione
dell’uomo in quanto non fondata sulla potenza della moltitudine, il potere
sovrano costituisce un progetto politico intrinsecamente insecurus e
coercitivo nei confronti della comunità dei singoli individui, così come esso
sia espressione dei dogmi e della religione non può costituire altro che un
regime di schiavitù popolare.
Marx
nella rielaborazione del Trattato teologico-politico ne estrae i
passaggi che più gli interessano, infatti rimuove qualsiasi riferimento a un
credo minimo necessario perché la società politica possa concretamente
realizzarsi (argomento invece trattato da Spinoza); così come non affronta il
problema della positività della religione, come quando affronta la storia del
popolo ebraico ne menziona unicamente i tratti negativi all’interno dello
stesso Stato ebraico, inteso come forma di Stato che era rivolto solo
all’obbedienza del suo popolo. Analizza tutti i principi di questo Stato per
opporvi immediatamente la costituzione di quello democratico. Tutti gli
argomenti di Spinoza che non servono ad argomentare la tesi che dalla natura si
passi alla ragione, allo Stato democratico, alla libertà, vengono affrontati
marginalmente e subito abbandonati. Benché Marx non contraddica Spinoza il
discorso viene tutto riformulato. Dalla ricostruzione che Marx fa si intuisce
che affronta tutti i punti cardine del discorso spinoziano che portino alla
democrazia. Marx riprende anche il passaggio in cui Spinoza affronta la
profezia e la legge divina sottolineando il fatto che grazie all’immaginazione
la verità spirituale è espressa materialmente.
Riguardo
alla profezia, Marx ne esplicita i fondamenti sostenendo che siccome dipende
dall’immaginazione essa non include alcuna certezza, per quanto riguarda
l’analisi del concetto di legge divina e di legge umana, l’uomo in quanto parte
della natura costituisce una parte della potenza di questa. Nonostante che la
legge umana derivi dalla stessa potenza umana e si regoli in base alle
decisioni dell’uomo essa è espressione di quella stessa legge divina che segue
dalla necessità di tutte le cose. Lo scopo di Marx ancora una volta è quello di
insistere sul carattere della legge che appartiene allo Stato democratico[9]
per opporla quella dello Stato confessionale oppressivo. Il sommo bene per
l’uomo coincide unicamente con la perfezione del suo intelletto grazie alla
quale egli giunge a conoscere Dio e quindi la necessità di tutte le cose,
comprendere il significato di questa necessità vuol dire capire che porta alla
libertà, se non si capisce questo concetto significa che si intende la legge
come comando e non come prescrizione e via della beatitudine. L’uomo è capace
di esprimere al massimo la sua potenza e di giungere quindi alla costituzione
dello Stato democratico quando segue la guida della ragione e vive unicamente
secondo il suo dettame.
Filosofo
che ebbe una profonda influenza su Spinoza fu Cartesio su cui scrisse i Principi
della filosofia di Cartesio, Spinoza a differenza di Cartesio concepisce la
mente umana non tanto come sostanza assolutamente pensante ma come determinata
da idee che seguono le leggi naturali. Spinoza fu anche molto critico riguardo
taluni aspetti della filosofia di Cartesio ma comunque considerava la filosofia
cartesiana propedeutici alla sua. Marx fu un appassionato lettore di Spinoza.
La
vera filosofia per Spinoza ha un fine pratico: quello di indicare agli uomini
la via per la realizzazione della vita buona. Riguardo alla teoria della verità
Spinoza scrive che essa consiste nel purificare l’intelletto da ogni falsa
immagine, e la certezza è data dallo stesso possesso di un’idea vera, il
rapporto tra scienza è metodo è così capovolto: non perché vi è metodo che è
possibile la scienza, ma poiché vi è scienza è possibile un metodo. È
impossibile secondo Spinoza dubitare di una verità matematica e similmente in
etica il metodo consiste nell’intendere cosa sia idea vera. L’Etica di
Spinoza sembra un trattato di matematica ma tratta di questioni etiche e
teologiche servendosi del metodo geometrico.
L’importanza
di Mandeville secondo Marx sta nella sua apologia dei vizi e quindi dei difetti
della società moderna. Ad esempio nella Favola delle api[10]
racconta la vita di un ricco alveare in cui il filosofo esplora i vari vizi
umani tra cui la lussuria che contribuisce alla crescita della popolazione e
quindi della prosperità economica; le passioni egoistiche hanno un ruolo di
primo piano nella società l’avarizia viene considerata il motore dell’attività
economica; l’invidia spinge le persone a migliorarsi; il consumo dei beni di
lusso incoraggia il commercio la superbia contribuisce all’ambizione e quindi
all’innovazione. La virtù poteva ostacolare questo processo di miglioramento.
Marx invece collega l’etica alle condizioni sociali ed economiche sotto cui
l’individuo vive.
Condillac
era uno scolaro di Locke, scrive Marx, che ha combattuto la metafisica mediante
il sensismo lockiano. Ritiene che le esperienze sensoriali siano fondamentali
per la conoscenza e l’apprendimento.
Una
delle modifiche principali che Condillac apporta al pensiero di Locke consiste
nella sua concezione della riflessione considerata un punto di svolta
all’interno dello spirito; come modo in cui la ragione utilizza le altre
operazioni subalterne, la riflessione è lo strumento con cui la ragione dirige
le altre operazioni dell’anima. L’immaginazione ha la funzione di conservare la
percezione degli oggetti assenti. Per l’intelligenza è necessario il legame fra
idee ed essa opera per mezzo della riflessione e della memoria che si servono
di segni artificiali e si sviluppa mediante il linguaggio.
Helvétius
è il filosofo che secondo Marx ha dato fondamento alla morale di Bentham, e
secondo Marx con Helvétius il materialismo acquista delle caratteristiche
proprie che seguiranno poi in tutto il materialismo francese successivo,
concepisce il materialismo collegato alla vita sociale.
Marx
vede in Helvétius l’intermediario tra il filone inglese del materialismo
rappresentato fra gli altri da Bacone, Hobbes e Locke e il comunismo
anglo-francese. Bentham fonda sulla morale di Helvétius il suo sistema. Helvétius
oltre ad essere un filosofo di rilievo per la sua critica della metafisica è
importante perché nel suo materialismo etico vi sono i germi del materialismo
come umanesimo reale nonché base logica del comunismo. In Helvétius vi è
infatti la consapevolezza di come sia impossibile conciliare la felicità di
tutti con la proprietà privata anche se cerca di conciliare teoricamente
eguaglianza e proprietà privata senza infatti riuscirci appieno. Scrive Marx
riprendendo Helvétius che gli uomini non sono per natura cattivi ma perseguono
i loro interessi, non bisogna quindi rimproverare gli uomini di cattiveria
quanto i legislatori di ignoranza perché pensano l’interesse particolare in
opposizione all’interesse generale senza saperli conciliare. L’etica va unità
alla legislazione e la legislazione deve essere il più possibile illuminata e
priva di ignoranza.
Holbach
secondo Marx connette il materialismo francese con quello inglese e riprende la
trattazione morale di Helvétius. Scrisse il Sistema della natura e Il
buon senso. Sosteneva il diritto dei popoli alla rivoluzione quando lo
Stato fosse diventato intollerabile. Fonda la morale sul concetto di felicità e
sull’interesse della collettività. L’uomo secondo Holbach è infelice perché non
conosce la sua natura. La natura è il tutto in cui l’uomo si trova, e gli
esseri al di là della natura sono frutto dell’immaginazione. L’uomo come essere
fisico è condizionato da influenze sensibili, gli errori derivano dai
pregiudizi e dalla mancanza di adeguate esperienze; anche la volontà umana è
prodotta da influenze esterne. La vera morale, scrive Marx riprendendo Holbach,
è quella che cerca di riunire gli uomini allo scopo della ricerca della
felicità collettiva e la morale religiosa non ha mai prodotto questo effetto.
Dalla
morale di Bentham, Owen parte per costruire il comunismo utopistico inglese cui
Marx guarda con una certa simpatia, seppur lo critichi in quanto non reale, non
basato su teorie scientifiche. In Bentham è particolarmente rilevante il
concetto di felicità per il numero maggiore possibile di persone: l’etica di
Bentham è di tipo utilitaristico e si pone come scopo il bene della
collettività. Egli difende la libertà personale ed economica, il laicismo dello
Stato e la libertà di pensiero. Da Bentham Marx riprende l’idea che l’interesse
collettivo ha priorità rispetto all’interesse dei singoli cittadini e lo
critica affermando che gli interessi individuali sono i soli interessi reali in
quanto gli interessi della collettività, senza quelli individuali, rappresentano
una semplice astrazione.
Proseguendo
facendo qualche accenno sui protagonisti della storia del materialismo troviamo
Hartley che scrisse nel 1749 Considerazioni su l’uomo la sua struttura, i
suoi doveri e le sue speranze dove discute di psicologia e di teologia:
nella parte psicologica cerca di ricondurre il pensiero e le sensazioni alle
vibrazioni del cervello, e afferma che l’uomo di suddivide in corpo e anima, il
corpo è visto come lo strumento dell’anima e il cervello è lo strumento delle
sensazioni e del pensiero e a ciascuna modificazione dello spirito corrisponde
a una qualche modificazione del corpo.
Pierre
Bayle fu secondo Marx il critico rigoroso della metafisica mediante lo
scetticismo e ha confutato in particolar modo la metafisica di Spinoza e
Leibniz; ha privato di ogni credibilità la metafisica mediante l’uso di un
serrato e brillante scetticismo e ha difeso l’ateismo. Bayle riprende Cartesio
ma lo oltrepassa nel materialismo: a differenza di Cartesio non cerca di
conciliare fede e scienza ma ne sottolinea le differenze; scrisse il Dizionario
storico e critico dove con stile scettico e vivace si prende gioco della
metafisica e della teologia.
Proseguendo
nella sua trattazione, Marx nella Sacra Famiglia afferma che il
materialismo meccanicistico francese ha il suo centro in Lamettrie e riprende
la fisica cartesiana in contrasto alla metafisica tradizionale. Con Lamettrie, infatti, si assiste all’unificazione del
materialismo cartesiano e a quello derivante da Locke. Con le sue
parole: «Occorre spezzare la catena dei pregiudizi e armarsi della fiaccola
dell’esperienza per rendere alla natura l’onore che merita […]. Il materialista
poi, convinto di non essere altro che una macchina o un animale, checché gli
sussurri la sua vanità, non maltratterà mai i propri simili, essendo troppo
istruito sulla natura di tali azioni. […] In conclusione, azzarderei dunque che
l’uomo è una macchina e che in tutto l’universo non c’è che una sola sostanza
diversamente modificata»[11].
Il
pensiero di Lamettrie sulla natura dell’uomo riprende la nozione cartesiana di meccanicismo,
estendendola al materialismo e radicalizzandola: nella sua opera “L’uomo
macchina”, egli critica aspramente tutta la metafisica e la teologia,
soprattutto al fine che esse non si mescolino con le scienze e per ridare la
giusta importanza al valore dell’esperienza e della ricerca empirica, guardando
in special modo alla scienza medica. Lamettrie, come detto, considerava il
corpo come una macchina, non diversa dagli altri animali; le facoltà dell’anima
dipenderebbero infatti dal corpo e non sarebbero costituite da una sostanza di
tipo differente. Il pensiero è risultante anch’esso dalla struttura della
macchina umana e dipende in gran parte dalla facoltà del linguaggio.
Da
un punto di vista etico, un fondamento importante della morale è la seguente regola:
«non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te»; agire seguendo il
bene, infatti, provoca piacere in chi lo fa e questo è già il suo premio. Inoltre,
Lamettrie, pone molta importanza all’educazione data: nei buoni prevale
l’interesse pubblico sul privato, mentre nei malvagi il contrario[12].
L’esperienza e l’osservazione sono le guide che portano alla verità. Egli si
oppone dunque col materialismo alle metafisiche astratte a partire da quella
aristotelica.
Ancora,
un filosofo che cercherà di fornire una teoria della conoscenza su base
empirica è Locke e in special modo nel suo Saggio sull’intelletto umano.
L’orientamento materialistico di Locke, la sua fiducia negli uomini e nella
loro eguaglianza, e l’insistenza sull’importanza dell’educazione sono, secondo
Marx, tutti valori che andranno a comporre il socialismo e il comunismo. L’opera
principale di Locke, che secondo Marx avrà un influsso molto significativo su
tutto il materialismo, è il Saggio sull’intelletto umano. Egli distingue
tre generi di oggetti o proposizioni che possono essere proposte all’assenso
dell’uomo: quelle costruite su idee chiare e perfette, quelle contrarie alle
nostre idee chiare e perfette, quelle superiori al nostro intelletto. Le prime
non richiedono l’aiuto della fede e costituiscono l’ambito di stretta
competenza della ragione; le seconde sono estranee sia all’ordine della ragione
sia a quello della fede, essendo in antitesi con ogni possibilità conoscitiva;
per le terze, infine, dobbiamo ricorrere alla rivelazione in quanto esse si
annoverano sotto il dominio della fede. Essa non cancella i confini della
conoscenza, non scuote i fondamenti della ragione, ma ci lascia il completo uso
delle nostre facoltà.
Nell’economia
della speculazione filosofica è significativa la distinzione lockiana tra ciò
che è secondo ragione e ciò che è contrario alla ragione: mentre Cartesio aveva
fornito le regole di un metodo basato sul contenuto delle idee e sull’esercizio
controllato del giudizio, Locke preferisce invece ricostruire passo dopo passo
la formazione delle idee a partire dalla loro origine. Egli non segue né
Cartesio nella sua complessa psicofisiologia basata sui rapporti fra mente e
corpo né Hobbes, che aveva fondato una psicologia materialistica basata sul
funzionamento meccanico. Locke disquisisce della teoria della conoscenza e si
scaglia contro l’innatismo, affermando che non ci sono principi né idee innate:
infatti, ogni idea ha origine dall’esperienza[13].
Secondo Locke, vi sono due tipi di idee: semplici e complesse. Inoltre, le idee
si suddividono anche in idee di sensazione e in idee di riflessione.
La
percezione è vista come la prima idea semplice della riflessione. Tramite la
conservazione delle idee si ha poi la contemplazione e la memoria ovvero la
capacità di far rivivere nello spirito le idee del passato che sono state
impresse. Le idee complesse sono la combinazione di più idee semplici da parte
dello spirito; esse possono essere di modi, di sostanze o di relazioni. L’idea
più semplice e universale è quella di numero o, meglio, di unità numerica:
anche per i numeri, infatti, sono necessari i nomi e quindi il linguaggio;
senza il linguaggio non si avrebbe che un coacervo caotico confusionario legato
alle sensazioni, ma non numeri chiari. Alcuni dei modi di pensare sono la
sensazione, il ricordo e la riflessione. Perfino l’idea di Dio viene formata a
partire dai sensi, dalle cose esterne, formando l’idea complessa di infinito e
di maggiore perfezione di cui il nostro spirito è capace. Dio è quindi
inconoscibile nella sua essenza e la sua idea è resa nello spirito a partire da
idee semplici mediante la sensazione e la riflessione.
Per
quanto riguarda la sua riflessione politica, essa fu influenzata dalla guerra
religiosa in Inghilterra che lo portò alla scrittura degli scritti sul Magistrato
civile e sui Saggi sulla legge di natura. Alla domanda se il magistrato
civile possa legittimamente imporre l’uso di cose indifferenti in relazione al
culto religioso Locke non esita a dare la sua risposta affermativa[14]:
l’uomo, infatti, in queste cose non regolate dalle leggi di natura è
naturalmente libero. Non solo, ma è così padrone della propria libertà che può
per contratto trasferirla ad un altro ed investire quest’ultimo di un potere
sulle proprie azioni, dal momento che non c’è nessuna legge di Dio che
proibisca ad un uomo di disporre della propria libertà e di obbedire ad un
altro uomo. Poiché la tendenza degli uomini è quella di affermare la propria
religione fino al fanatismo religioso, il culto religioso è una questione che
intercorre soltanto fra l’uomo e Dio e non deve avere nulla a che fare col
governatore se ciò non turba la pace della comunità; se invece le credenze
religiose dovessero superare la sfera privata e ad andare a incidere sulla
costituzione, diventa compito del magistrato legiferare e intervenire. Non è
compito del magistrato gestire la questione del bene o delle anime, ma a lui è
affidato il compito di garantire la sicurezza e la tranquillità della vita
degli uomini e della società. In Locke, dunque, vi è una progressiva
distinzione tra gli ambiti della religione e quelli della politica: non bisogna
lasciare la società al pericolo di essere straziata e fatta a pezzi da chiunque
invocando la propria coscienza religiosa con una spada.
Il
tema della legge della natura[15]
fu per Locke oggetto di attenti studi, ponendosi anzitutto la domanda se l’uomo
al momento della nascita rechi in sé connaturate le leggi di natura che
indicano qual è il suo dovere. Mentre le dottrine platoniche e cartesiane si
basano sull’idea che l’anima umana, al momento della nascita, abbia già
qualcosa in sé e sia in grado di ricevere ogni sorta di impressione, molti
argomenti inducono a pensare l’opposto: infatti, i bambini e i popoli primitivi
che vivono solo secondo natura non conoscono questa legge meglio degli altri e
ciò fa pensare che essa non sia già insita in loro. Gli uomini, per natura, si
trovano in uno stato di perfetta libertà, entro i limiti della legge naturale,
senza obbedire alla volontà degli altri. Niente è più evidente del fatto che
creature della stessa specie sono indifferentemente nate per godere degli
stessi doni della natura e usare le stesse facoltà senza avere subordinazione
ad altri. Poiché siamo forniti di eguale facoltà e partecipi di una comune
natura, non si può supporre fra noi una subordinazione tale che ci autorizzi a
distruggerci a vicenda, come se fossimo stati creati gli uni ad uso degli
altri. Benché la Terra e tutte le creature inferiori siano apparentemente alla
portata di tutti, l’uomo ha aggiunto col suo lavoro qualcosa che esclude il
comune diritto degli altri uomini e da qui nasce la proprietà. Per questi
motivi, dunque, John Locke rientra tra i progenitori filosofici di Marx: egli è
infatti un baluardo dell’empirismo britannico e le sue teorie politiche sono critiche
nei confronti dell’autorità monarchica; inoltre, seguendo la legge di natura,
egli interpreta gli uomini come originariamente buoni e disponibili alla
cooperazione.
Come
detto, la Sacra Famiglia è un’opera critica verso la filosofia dei
fratelli Bruno ed Edgar Bauer, esponenti del gruppo berlinese dei giovani
hegeliani. Bruno Bauer è allievo del teologo Marheineke e diventa una figura di
riferimento per i giovani hegeliani, tanto è vero che Marx si scaglia contro la
loro posizione idealistica. Marx, infatti, inizia ad avere interesse per Bauer
già dal 1837, quando si registrano tra i due degli scambi di idee piuttosto
intensi, al punto che il pensatore tedesco diviene un assiduo frequentatore di
casa Bauer, il quale si prodiga di consigli verso il giovane studente e lo
sprona a concludere gli studi all’università di Berlino, in modo da potersi
unire alle sue battaglie filosofiche. Effettivamente, Marx lo raggiunse poi
all’Università di Bonn[16]
dove vuole coinvolgerlo alla redazione di una rivista dedicata alla critica
della religione e della teologia assieme a Feuerbach. In quel periodo vi è una
grande intesa tra Bauer e Marx: questo sodalizio durerà sino al 1840 e darà
alla luce anche importanti lavori, tra cui delle recensioni sulle lezioni
hegeliane sulla filosofia e sulla religione. Con il passare del tempo, inizia
poi un distacco di vedute, soprattutto quando Marx, divenuto editore, rifiuta
di pubblicare articoli di membri del gruppo di Berlino che facessero capo a
Bauer. Marx, infatti, rifiuta l’impostazione degli attacchi indiscriminati dei
liberi (il gruppo di Berlino che faceva capo Bauer) alla religione, in quanto
la considerava un’entità autonoma staccata dalla politica. Da questa differenza
di vedute sulla religione nascono reciproci attacchi finché la loro amicizia
giunge alla rottura.
Nonostante tutto, però,
Marx, avendo subito una grande influenza da Bauer, è in sintonia coi giovani
hegeliani e quindi, dopo aver difeso incondizionatamente le sue lezioni sulla
storia della filosofia di Hegel, sostiene che quest’ultimo non avesse
adeguatamente messo in rilievo i sistemi post-aristotelici, considerati la
chiave per ricostruire la vera storia della filosofia greca.
Nelle
Lezioni di storia della filosofia, Hegel considera la filosofia
post-aristotelica come filosofia dell’autocoscienza e la ritiene inferiore al
pensiero classico; Bauer apprezza molto il pensiero ellenistico come una forma
elevata di sviluppo dell’autocoscienza e Marx concentra la propria attenzione
sulle scuole post-aristoteliche. Anche nella critica alla religione
inizialmente Marx si tiene vicino alle posizioni di Bauer[17],
la questione del rapporto tra l’emancipazione politica e la religione umana
diviene la questione tra l’emancipazione politica e l’emancipazione umana: sente
l’influenza di Bauer nell’attribuire alla filosofia il compito di smantellare
le mistificazioni religiose e politiche: in questo periodo gli scritti marxiani
qualificano la religione come illusoria e la paragonano ad un sogno. Tuttavia,
Marx poi si discosta dalla posizione di Bauer: mentre quest’ultimo sostiene che
vi sia una relazione di reciprocità tra Stato e religione, Marx afferma che è
l’uomo a fare la religione e non il contrario. Essi producono la religione, che
viene definita «una coscienza capovolta del mondo»[18].
Anche
sul tema dell’alienazione sono riscontrabili delle polemiche contro l’amico di
un tempo: secondo Marx, infatti, il passaggio dalla religione dello Stato alla
religione privata non può risolvere il problema fondamentale della società
civile. Le trasformazioni democratiche, comprese le abolizioni dei privilegi,
non possono risolvere il problema dell’alienazione sociale ancorata nello
sfruttamento. Scrive Marx che «la società feudale fu risolta non dalla
divisione fra Stato e religione ma nel suo fondamento, e cioè l’uomo». L’uomo,
infatti, in quanto membro della società civile, è ora la base, il presupposto
dello stato politico: egli è riconosciuto come tale grazie ai diritti
dell’uomo. Solo l’emancipazione umana lo rende cittadino dello Stato e membro
della società civile.
Non
a caso, Bauer parla dello Stato cristiano come della realizzazione statale
della religione, mentre, secondo Marx la religione serve come complemento dello
Stato: lo stato democratico, infatti, non ha bisogno della religione per il
proprio completamento politico, anzi, può astrarre dalla religione; lo Stato
cristiano non riconosce il cristianesimo come proprio fondamento, come
religione di Stato, ma lo confina tra gli altri elementi dello Stato civile, identificando
un’organizzazione atea.
Se
nella Sacra Famiglia si afferma che il materialismo di Feuerbach è il
predecessore di quello storico, Karl Marx nelle Tesi su Feuerbach lo critica
aspramente. Feuerbach, secondo Marx, è il filosofo che ha contrapposto una
filosofia sobria alla metafisica ubriaca e sensazionalistica di Hegel. Per
Feuerbach, socialismo significa partecipazione alle sorti delle altre persone, buone
o cattive che siano, senza una precisa connotazione politica. Feuerbach
contribuì a far perdere credito all’idealismo e a diffondere una filosofia su
base scientifica grazie alle scoperte nel campo delle scienze naturali; egli
era un punto di riferimento per il nuovo materialismo che andava diffondendosi:
oltre a pensare una continuità tra la natura inorganica, gli animali e gli
uomini, egli teorizzava la natura inorganica come viva e come fondamento della
natura organica; infatti, si può pensare solo quando il cuore pompa sangue al
cervello[19]. In ogni caso, secondo il
filosofo la chimica non era in grado di spiegare a fondo gli organismi viventi,
ma era semplicemente la loro base materiale: il cervello è l’organismo con cui
la materia pensa. Feuerbach, infatti, non pensava al materialismo come un
sapere omnicomprensivo del sapere, ma come ad una parte importante di esso: la
vita è costituita dagli stessi elementi dei corpi materiali inanimati ma con
una congiunzione del tutto particolare.
A
livello etico-politico la posizione di Feuerbach è che l’obbiettivo supremo consiste
nella ricerca della felicità[20],
da ricercarsi nella vita terrena, e a questo proposito delinea una teoria del
progresso per la felicità, per imparare il vivere civile dall’esperienza e nel
porsi limiti al fine di riconoscere i diritti altrui. L’impulso alla felicità è
positivo quando è in armonia con quello degli altri; inoltre, per stabilire una
vera morale è importante la partecipazione empatica alla sorte altrui. Questa è
la definizione propria di socialismo: la partecipazione empatica e altruistica
alla sorte felice o infelice degli altri, che si può anche chiamare amore[21].
Ogni uomo ha un carattere proprio e delle inclinazioni che possono essere
corrette dalla volontà che rappresenta il centro dell’individuo: la libertà non
è totale ma condizionata dalle inclinazioni e dalle circostanze esterne. Per
vivere, l’uomo ha bisogno della natura, così come degli altri, e in entrambi i
casi il segreto della felicità sta nel riconoscere come razionali i limiti
posti ai desideri. Feuerbach cerca di costruire un’etica della felicità, la
volontà significa volontà di essere felice ed è questa l’essenza dell’uomo, di
tutti gli uomini. La felicità è lo stato sano di un ente, la sua soddisfazione,
la morale consta nel reciproco riconoscimento del diritto alla felicità altrui
ed il ruolo della legge è la tutela della felicità[22].
Marx
scrive su Feuerbach e lo critica dicendo che egli descrive le qualità della
scienza della natura e della chimica ma non considera che senza l’industria e
il commercio non sarebbe possibile neanche la scienza e anche il suo scopo si
trova nell’industria. Feuerbach ha il merito rispetto ad altri materialisti di
considerare l’uomo come oggetto sensibile ma resta sul terreno della teoria
astratta senza pensare gli uomini nelle loro condizioni di vita e relazioni
sociali. Non critica i rapporti sociali esistenti mentre il materialista
comunista sente la necessità di un cambiamento nell’industria e in generale
della struttura sociale; Feuerbach non riesce a concepire il materialismo
storico, per lui materialismo e storia sono separati.
Per
Feuerbach la religione non era stata un argomento scoperto attraverso i libri
ma un’esperienza vissuta con grande serietà. Come tanti altri giovani del suo
periodo partecipò di quel movimento di rinascita religiosa che si era diffuso
in tutta Europa nei primi decenni del secolo diciannovesimo. Al ginnasio non
lesse soltanto la Bibbia ma anche altri libri ecclesiastici. L’interpretazione
filosofico-speculativa della religione di questo periodo non era sentita da lui
in contrasto della sua pratica religiosa tradizionale, durante gli anni
dell’Università cominciò a diventare un filosofo della religione interessato a
definirne l’essenza più che a seguirne lo svolgimento e, mentre Hegel definiva
il cristianesimo come l’autentica manifestazione della religione, Feuerbach era
incline a ricercare il carattere religioso nelle forme più primitive. Si
allontanò sia dalla pratica religiosa sia dagli studi teologici, non fu antireligioso
ma la forma storica del cristianesimo non gli sembrava più idonea ad esprimere
l’universalità e la razionalità di Dio, la Palestina era troppo stretta se
rapportata al mondo mentre il cristianesimo era ormai superato nella filosofia
e nello spirito scientifico moderno, in questo periodo (1828) Feuerbach
respinge l’idea di un possibile accordo fra religione e filosofia[23]
e contro l’idea di una filosofia, una scienza, un’etica cristiana scriverà una
delle sue pagine più violente.
La
religione per Feuerbach è anche una forma essenziale dello spirito umano in
quanto spirito del popolo, le diverse religioni hanno quindi un fondamento
comune e quindi leggi comuni, dichiara addirittura che le religioni possono
avere un contenuto irreligioso, a determinare cosa sia vera religione potrebbe
essere il concetto che essa ha di Dio, ma quest’ultimo non è specifico, quello
che è specifico è che qualcosa venga dichiarato divino ma quando la religione
nel fare questo non si ispira alla ragione e alla morale naturale, si apre
allora la strada a tutti gli orrori della storia delle religioni. La religione
è sì una forma essenziale dello spirito umano ma non ha un proprio contenuto,
diversa dalla filosofia e dalle scienze che hanno un oggetto e anche dall’etica
che ha il compito di generare caratteri aperti, nobili, naturali. Alla
religione Feuerbach non riesce ad attribuire niente di positivo. Gli aspetti
condannabili della religione sono le forme definite e la dogmatica, cioè
l’organizzazione della Chiesa. alla sincerità ribelle ed anarchica dei primi
cristiani segue quella autoritaria ed organizzata della Chiesa ed è su questa
che egli costruisce la sua immagine del cristianesimo. Il cristianesimo per
questi motivi non è una religione genuina.
La
religione non ha nulla a che fare con la filosofia, essa deriva da
atteggiamenti dell’animo umano che per loro natura non sono suscettibili di
progresso perché fondati su bisogni o istanze elementari, cioè i semplici atti
di devozione e di preghiera sono espressioni di reali bisogni umani. Posta la
originarietà dei bisogni da cui derivano le religioni non si può pensare di
eliminarli; il problema è pertanto di garantire per essi un soddisfacimento non
illusorio ma reale. Il vero problema del cristianesimo secondo Feuerbach era la
struttura sentimentale che stava alla base dei singoli atteggiamenti religiosi,
perché in esso è espresso il bisogno umano di amore.
L’essenza
del cristianesimo
(1841) è l’opera più famosa di Feuerbach e mira a dimostrare che ogni religione
è l’espressione dell’uomo ad oggettivare se stesso nel concetto di Dio, la cui
infinità rispecchia le aspirazioni umane. L’uomo nel cristianesimo è impotente
e negativo, subordinato alla perfezione di Dio. Dio come somma bontà diventa
l’ente al quale l’uomo si rivolge con la preghiera. Il compito del filosofo è
spiegare che il contenuto del cristianesimo è soltanto umano. Gli uomini hanno
limiti creano Dio a cui attribuiscono tutte le qualità umane all’ennesima
potenza, le imperfezioni degli uomini diventano perfezioni in Dio.
Feuerbach
si fa portatore del progresso dell’uomo[24]
tenendo contro della sua natura umana, quindi della sua vera essenza, ad
esempio il richiamo alla religione della natura come primo ed elementare
riconoscimento della sua propria base, questo ritorno è necessario perché gli
uomini di fatto, hanno venerato la natura prima di venerare gli dei e anche in
seguito li hanno invocati quando si sono sentiti minacciati dalle forze naturali.
Il prendere atto di ciò fa scomparire qualsiasi radice spirituale della
religione.
Marx
riconosce a Feuerbach il merito di aver spiegato la religione in termini di
essenza umana ma gli rimprovera di considerare ancora l’essenza umana in
maniera astratta e non nell’insieme dei rapporti sociali, Feuerbach astrae
dalla storia e presuppone un individuo astratto non comprende ancora che il
sentimento religioso è un prodotto sociale immerso nel corso della storia reale,
la questione non è meramente accademica o teologica ma si trova nella prassi.
Il
motto di Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia” potrebbe sembrare una semplice
provocazione alla metafisica e in parte lo è, però non bisogna dimenticare
quanto l’alimentazione sia importante e non così scontata. Porre l’accento
sull’importanza della nutrizione per l’uomo ha il significato di sottolineare
come ancora al giorno d’oggi nel mondo secondo il rapporto della Fao più di 800
milioni di persone, una su nove, sono gravemente denutrite: ciò significa
cercare di portare la filosofia fuori dalla torre d’avorio metafisica e vicina
alla gente[25]. Secondo Marx il vizio
dei materialismi precedenti è che la realtà viene concepita come un oggetto
esterno e non dal punto di vista umanista come attività umana, e il vizio di
Feuerbach in particolare è che non pensa l’attività umana come oggetto attivo e
così non comprende il significato di attività rivoluzionaria critica.
In
conclusione, dunque, il materialismo di Marx si differenzia dalle precedenti
forme di materialismo in quanto materialismo storico propriamente detto: il
materialismo in Marx è alla base del suo modo di concepire la storia, è parte
integrante e fondamentale della filosofia della storia marxista. Il
materialismo va inserito soprattutto nel modo di interpretare la storia, che
non è il manifestarsi dello spirito, ma la conseguenza dello svilupparsi del
lavoro e delle modalità di produzione, di cui mi accingo a trattare nel
prossimo capitolo.
[1] G. Giglioni, Francesco Bacone, Carrocci, Roma,
2011, p. 13.
[2] Ivi, p. 20.
[3] R. Descartes, Discorso sul
metodo, traduzione italiana di M. Garin, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 11.
[4] T. Gregory, Pierre Gassendi, in Grande
Antologia filosofica, Marzorati, Milano, 1968, p. 727.
[5] Ivi, p. 784.
[6] Marx K., Quaderno Spinoza, a cura di Filieri
Ludovica, Giunti Editore, Milano, 2022.
[7]Ivi,
p. 282.
[8]
Ivi,
p 283.
[10] Cfr. A. Branchi, Introduzione a
Mandeville, Laterza, Roma-Bari, 2004. p.41.
[11] Cfr. J.O. La
Mettrie, L’uomo macchina, traduzione italiana di Polidori F, Mimesis,
Sesto San Giovanni, 2015 (Edizione originale: L’Homme machine, 1747) pp.
68-69.
[12] Cfr. F.A. Lange, Storia critica del
materialismo, traduzione di Angelo Treves, Editrice Monanni, Milano, 1932,
p. 369.
[13] J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, De
Agostini, Novara, 2013, p. 55.
[14] M. Sina, Introduzione a Locke,
Laterza, Bari-Roma, 1982, p.11.
[15] Ivi,
p. 43.
[16]
Cfr. A. Gargano, Bruno Bauer, La città del sole, Napoli, 2003, p. 136.
[19] Cfr. C. Cesa,
Introduzione a Feuerbach, Laterza, Roma-Bari 1978, p. 106.
[20] Ivi, p. 119.
[21] Ivi, p. 128.
[22] Cfr. U. Perone, Invito
al pensiero di Feuerbach, Mursia, Milano, 1992, p. 165.
[23] C.
Cesa C., Introduzione a Feuerbach cit. p. 65.
[24] Ivi p. 102
[25] L. Feuerbach, L’uomo è ciò che mangia, a cura
di A. Tagliapietra, Bollati Boringhieri editori, Torino, 2017.
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