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Storia(parziale) del materialismo

 

 

Si hanno due orientamenti del materialismo francese, di cui uno trae la sua origine da Descartes, l’altro da Locke. Questo secondo è prevalentemente un elemento della cultura francese e sbocca direttamente nel socialismo. Il primo, il materialismo meccanico va a finire nella scienza naturale francese vera e propria. […] Il materialismo meccanico francese ha accolto la fisica di Descartes in opposizione alla sua metafisica. Nell’ambito della sua fisica, la materia è la sostanza unica, il fondamento unico dell’essere e del conoscere. Questa scuola ha inizio con il medico Le Roy, raggiunge il punto più alto con il medico Cabanis, e il medico Lamettrie è il suo centro. […] Oltre alla confutazione negativa della teologia e della metafisica del secolo XVII, c’era bisogno di un sistema positivo antimetafisico. C’era bisogno di un libro che ordinasse in un sistema la prassi di vita di allora e la fondasse teoricamente. L’opera di Locke sull’origine dell’intelletto umano giunse d’oltre Manica proprio a proposito. […] Il vero progenitore del materialismo inglese e di tutta la scienza sperimentale moderna è Bacone […] in Bacone, in quanto suo primo creatore, il materialismo racchiude in sé, in un modo ancora ingenuo, i germi di uno sviluppo onnilaterale. La materia, nel suo splendore poeticamente sensibile sorride a tutto l’uomo. […] Come il materialismo cartesiano va a finire nella scienza naturale vera e propria, così l’altro orientamento del materialismo francese sfocia direttamente nel socialismo e nel comunismo. Se si muove dalle dottrine del materialismo sulla bontà originaria degli uomini e sulla loro eguale capacità intellettuale, sulla onnipotenza dell’esperienza, dell’abitudine, dell’educazione, sull’influsso delle circostanze esterne sull’uomo, sulla grande importanza dell’industria, sul diritto al godimento ecc., non occorre una grande acutezza per cogliere la connessione necessaria del materialismo con il socialismo e con il comunismo[1].



[1] Marx K., F. Engels, La sacra famiglia- Critica della critica critica, a cura di Aldo Zanardo, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 162.



 

Bacone, a differenza di Marx, preferisce Democrito ad Epicuro in quanto Bacone si interessa non tanto di filosofia quanto della scienza della natura vera e propria e così similmente faceva Democrito che non cercava tanto risvolti etici e filosofici nello studio degli atomi quanto soprattutto di comprendere a fondo gli aspetti naturalistici-materiali. Similmente a Marx, egli considera la compassione fra le prime qualità umane. Inoltre, sono entrambi contro il dogmatismo astratto rappresentato dai seguaci di Aristotele e hanno in comune il nesso tra la concezione della natura e la concezione etico-politica. Il concetto di materia ha un’importanza fondamentale in tutta l’opera di Bacone: infatti, è mediante un’adeguata comprensione dei processi corporei e materiali della natura su cui si fonda il programma da lui proposto per la rivoluzione scientifica del sapere che si basa la conoscenza sperimentale dei fenomeni materiali.

La realtà è costituita da materia[1], la quale ha una serie di tendenze appetitive da cui prendono forma i corpi, vi è un primordiale parallelismo fra la sfera intellettuale e quella materiale. Nella natura vi sono tensioni contrapposte e in continua evoluzione, tali che la natura stessa appare come una selva intricata; la selva è anch’essa un materiale che è adatto a venir conosciuto ed elaborato e la mente stessa viene paragonata a una foresta che adeguatamente coltivata produce frutti rigogliosi. La mediazione fra la realtà e la mente è complessa e problematica: se la verità è il riflesso della realtà, questa realtà materiale viene all’intelletto mediante immagini più o meno distorte e l’immaginazione contamina inevitabilmente la rappresentazione della realtà con illusioni, desideri ed errori. La natura ultima della realtà è costituita dagli appetiti originari della materia: in Bacone, essa si caratterizza come materia desiderante. Vi è quindi una sfera etica propria dell’anima e una sfera che riguarda l’universo naturale: questa ripartizione non è assoluta in quanto vi è un’originaria unità che connette la verità al bene tra intelletto e volontà[2].

Marx vede in Hobbes l’organizzatore sistematico della filosofia di Bacone e sostiene che il materialismo facendo riferimento al Leviatano diventa misantropo. Hobbes credeva che gli esseri umani fossero egoisti e quindi sosteneva la necessità di un potere centrale forte, per lui era meglio sopportare un tiranno piuttosto che fare una rivoluzione e non si concentrò molto sull’economia ma riteneva che la proprietà privata fosse necessaria per la pace; Marx, che sostiene che la natura umana sia condizionata dalla situazione materiale e sociale e sostiene che il capitalismo genera ingiustizia e alienazione, critica l’idea di uno stato sovrano mirando a una società senza le classi in cui lo Stato sarebbe stato superfluo e proporrà una rivoluzione proletaria per rovesciare il sistema capitalista; egli vedeva inoltre la vera libertà nell’eliminazione delle disuguaglianze economiche, mentre Hobbes sostiene che la libertà consiste nel vivere senza interferenze da parte degli altri.

Altro filosofo che avrà ascendente sul metodo scientifico e che risulta fondamentale nella ricostruzione di Marx è Cartesio; secondo Marx, infatti, il materialismo derivante da Cartesio va a fornire la base filosofica della scienza: si può dividere in due parti il pensiero di Cartesio: non mi occupo in questa sede della sua parte metafisica, ma mi concentro sulla sua teoria meccanicistica e dell’uomo come macchina vivente, che sarà fondamentale per tutta la filosofia e scienza della natura, e in maniera critica anche sul marxismo come scienza. Cartesio stesso racconta di come si interessava alla matematica per le evidenze e certezza che vi trovava[3]  e sperava di fondare su di essa anche altre scienze: egli era infatti desideroso di imparare a distinguere con metodo il vero dal falso e di imparare a leggere il libro del mondo.

Come metodo cercava di trovare la verità su fondamenta stabili, mettendo in rigoroso dubbio tutta la realtà. Così facendo, Cartesio si trovò davanti ad una verità indubitabile: “penso, dunque sono”. Da questa prima verità si arriva deduttivamente al fatto che abbiamo un’anima e all’esistenza di Dio che l’ha creata. Cartesio non crede che Dio creò il cosmo per l’uomo: la terra non è che un puntino nell’universo e la trama materiale è intelleggibile, l’universo è lo scenario di un gioco continuo delle particelle corporee che collidendo fra loro secondo le leggi naturali formano le molteplici combinazioni dell’essenza della materia.

Autore polemico verso Cartesio è Gassendi il quale riprende il pensiero di Epicuro. Gassendi, in quanto avversario dell’aristotelismo e di ogni metafisica a partire da quella cartesiana, oltre che sostenitore e rinnovatore dell’epicureismo, rientra a buon diritto tra i materialisti che hanno ispirato pur indirettamente il marxismo. Pierre Gassendi è polemico verso la metafisica cartesiana, e si scaglia non tanto contro la metafisica in sé, ma proprio contro il modo e il presunto valore di tali dimostrazioni metafisiche: dal cogitare alla res cogitans si fa un passaggio metafisico non giustificato, contrario anche al tentativo di risolvere la materia estesa nell’estensione con la conseguente riduzione alla geometria della fisica: Gassendi, infatti, nega anche la distinzione fra anima e corpo. Gassendi tende a rigettare tutta la metafisica cartesiana assieme alla metafisica aristotelica-scolastica[4] a favore di una conoscenza empirica e sperimentale. In questo modo, la fisica non nega del tutto la metafisica, ma si libera dal suo condizionamento. Gassendi cerca di conciliare epicureismo e cristianesimo: infatti, gli atomi sono ordinati seguendo le finalità di Dio. In questo modo, atomismo e finalismo coesistono nel suo pensiero. La felicità è il sommo bene[5] ed è desiderata da tutti gli uomini. Ad Aristotele, Gassendi preferiva il pensiero di Epicuro, più consono al pensiero scientifico; per fornire una teoria della conoscenza legata all’evidenza sensibile e ad una concezione atomistica spiegabile meccanicisticamente e non condizionata dalla teologia e fornire alla fisica legittima autonomia.

Marx apre la sua “battaglia critica contro il materialismo francese” riprendendo gli scritti di Bauer su Spinoza secondo cui lo spinozismo vedeva la sostanza come materia e dava alla materia un nome più spirituale. Spinoza è considerato uno dei padri del materialismo, la prima testimonianza dell’incontro filosofico tra Marx e Spinoza è data dal Quaderno Spinoza[6], una serie di estratti che il giovane studente di filosofia trae dal Tractatus theologico-politicus e dall’epistolario del filosofo. Nella prima parte trattando della natura dei miracoli Marx passa all’esclusione del sovrannaturale come frutto dell’ignoranza poiché il miracolo è un fatto di per sé limitato da cui non si possono di per sé derivare Dio o enti sovrannaturali. Il miracolo avviene dentro la natura ma è anche definito sovrannaturale e diventa quindi assurdo in quanto occorrerebbe rompere le leggi della natura. Marx riprende l’affermazione spinoziana secondo cui qualsiasi verità che si vuol dimostrare attraverso il miracolo conduca necessariamente in errore. Marx mediante la composizione che opera degli elementi del testo spinoziano cerca di dimostrare la legge della necessità universale, cioè che tutto ha una causa naturale.

 A questo punto Marx indaga il rapporto tra fede e ragione nell’opera di Spinoza, argomento importante perché qui Spinoza pone le basi della sua critica nei confronti della religione che costituirà il fondamento della sua opera di critica della teoria politica. Avendo Marx dimostrato che in natura tutto ha una causa necessaria e non vi possono essere infrazioni delle leggi naturali, prende poi in considerazione i principi della fede come necessari per l’obbedienza del popolo e dunque per l’esercizio del potere. Mostra come la fede venga insegnata con la scrittura il cui scopo è quello di insegnare l’obbedienza. La fede non insegna la verità quanto la pietà, essa consiste in quelle insieme di credenze necessarie per indurre il popolo all’obbedienza e che non hanno alcun bisogno di essere vere. Credere che le decisioni del monarca fossero dirette dalla volontà di Dio permetteva al potere sovrano di esercitare qualsiasi diritto sul popolo, e riferendosi alla natura della Repubblica ebraica la vita stessi degli ebrei dipendeva dalla volontà del sovrano.

Nella sezione centrale del Quaderno Spinoza sono esposti i fondamenti della società civile, oltre al concetto di natura e diritto naturale Marx delinea le condizioni del contratto sociale e del potere assoluto. Da qui il concetto di collettivo è utilità di libertà e di causa, Marx nei suoi frammenti riporta il concetto spinoziano di jus sive potentia in cui viene definito che è la potenza che definisce il diritto di ciascuno e che stabilisce cosa l’individuo può fare o non fare. Il diritto individuale non può essere determinato dalla sana ragione ma piuttosto dalla cupidigia e dalla forza. Marx non chiarisce in maniera approfondita le ragioni secondo le quali Spinoza sia portato a fare un tale discorso ma si limita a riportarne le linee fondamentali. Ciò che veramente gli interessa far emergere è come a partire dalla condizione naturale dell’uomo occorra la stipulazione di un contratto sociale[7] come fondamento della costituzione dello Stato e garanzia del suo benessere quindi di quello di tutti gli individui. Il diritto inteso da Spinoza e ripreso poi da Marx parte dai rapporti di forza della società civile, ciò si realizza pienamente quando gli uomini si uniscono per avere necessariamente un diritto collettivo, in modo che questo non sia più determinato dalla forza o dall’istinto di ciascuno bensì dal potere e dalla volontà di tutti. L’unica possibilità per cui questo progetto possa concretizzarsi, sta nel cedere i propri diritti non a un uomo soltanto ma all’intera società.

Marx può mostrare così che il vero fine dello Stato non sarà quello di rendere schiavo il cittadino quanto quello di garantirne la libertà di espressione, a differenza di ciò che era emersa nell’analisi dello stato ebraico. A questo punto Marx, attraverso le parole di Spinoza delinea per la prima volta il concetto di democrazia rappresentata come la forma perfetta di Stato. Come si può giungere alla formazione dello stato democratico in cui il potere del singolo deve andare in favore del potere collettivo ed è la garanzia di una vita vissuta in libertà. Schiavo è colui che agisce unicamente spinto dal suo istinto e dalle sue passioni, ed incapace di realizzare il proprio utile e per ottenere sicurezza deve rivolgersi al sovrano. Quando invece l’uomo è guidato dalla ragione[8] ricerca la propria salute e cerca di imporla come legge suprema del governo così che tutto il popolo si riconosca in uno Stato volto al benessere comune e non ne sia servo. Per questo motivo per entrambi gli autori lo Stato democratico è il più naturale e conforme alla libertà di ciascun individuo. Nonostante ciò, le azioni devono essere regolate al bene comune, la potenza dell’uomo è determinata sia dalla sua ragione che dai suoi affetti. Le passioni non devono essere eliminate ma organizzate per il bene della famiglia e della collettività. Spinoza afferma che è importante che l’uomo viva seguendo le leggi e la ragione, la ragione deve prevalere perché è l’unica in grado si stabilire concretamente una sicurezza civile per l’affermazione dell’uomo. Questa idea è centrale per la definizione di “impero della moltitudine”: il trasferimento dei diritti naturali singolari in favore della potenza e del diritto della moltitudine permette la fondazione della democrazia come forma di governo assoluta.

Proprio su questa linea insiste Marx: lo Stato democratico gli appare il più naturale di tutti per gli uomini che intendono vivere liberamente la cui deduzione è ancora più immediata di quanto fosse stata in Spinoza. L’assolutezza dello Stato democratico si fonda sulla razionalità intesa come garanzia assoluta per la società civile e difesa contro la degenerazione del potere, l’unica cioè capace di conservare all’interno dello Stato la presenza del diritto naturale in una condizione permanente.

Nell’analisi spinoziana l’Homo homini lupus si sublima in Homo homini Deus, è il riconoscimento della propria razionalità che conduce all’accordo con l’altro che rappresenta il modo di aumentare la potenza della società. La multitudo non è più condizione negativa ma la premessa positiva del costituirsi del diritto. Nel pensiero spinoziano Marx vede con chiarezza la possibilità di autoliberazione umana ed emancipazione sociale. Inoltre, il sorgere dell’individuo moderno coincide con la realizzazione della libertà di pensiero garantita dalla democrazia. Marx non trascrive e non accenna alla struttura delle altre forme statali o alla loro natura, a differenza di Spinoza che le aveva invece precisamente descritte nel Trattato teologico-politico, perché pensa e trova che siano sufficienti tutte le spiegazioni fatte sulla democrazia per rendere automatica l’esclusione di qualsiasi altra forma di governa. La democrazia è l’unica forma di Stato che può essere ritenuta volta unicamente al benessere dell’individuo e della collettività. Qualsiasi altra forma di stato sarebbe incapace di promuovere il progetto etico di liberazione dell’uomo in quanto non fondata sulla potenza della moltitudine, il potere sovrano costituisce un progetto politico intrinsecamente insecurus e coercitivo nei confronti della comunità dei singoli individui, così come esso sia espressione dei dogmi e della religione non può costituire altro che un regime di schiavitù popolare.

Marx nella rielaborazione del Trattato teologico-politico ne estrae i passaggi che più gli interessano, infatti rimuove qualsiasi riferimento a un credo minimo necessario perché la società politica possa concretamente realizzarsi (argomento invece trattato da Spinoza); così come non affronta il problema della positività della religione, come quando affronta la storia del popolo ebraico ne menziona unicamente i tratti negativi all’interno dello stesso Stato ebraico, inteso come forma di Stato che era rivolto solo all’obbedienza del suo popolo. Analizza tutti i principi di questo Stato per opporvi immediatamente la costituzione di quello democratico. Tutti gli argomenti di Spinoza che non servono ad argomentare la tesi che dalla natura si passi alla ragione, allo Stato democratico, alla libertà, vengono affrontati marginalmente e subito abbandonati. Benché Marx non contraddica Spinoza il discorso viene tutto riformulato. Dalla ricostruzione che Marx fa si intuisce che affronta tutti i punti cardine del discorso spinoziano che portino alla democrazia. Marx riprende anche il passaggio in cui Spinoza affronta la profezia e la legge divina sottolineando il fatto che grazie all’immaginazione la verità spirituale è espressa materialmente.

Riguardo alla profezia, Marx ne esplicita i fondamenti sostenendo che siccome dipende dall’immaginazione essa non include alcuna certezza, per quanto riguarda l’analisi del concetto di legge divina e di legge umana, l’uomo in quanto parte della natura costituisce una parte della potenza di questa. Nonostante che la legge umana derivi dalla stessa potenza umana e si regoli in base alle decisioni dell’uomo essa è espressione di quella stessa legge divina che segue dalla necessità di tutte le cose. Lo scopo di Marx ancora una volta è quello di insistere sul carattere della legge che appartiene allo Stato democratico[9] per opporla quella dello Stato confessionale oppressivo. Il sommo bene per l’uomo coincide unicamente con la perfezione del suo intelletto grazie alla quale egli giunge a conoscere Dio e quindi la necessità di tutte le cose, comprendere il significato di questa necessità vuol dire capire che porta alla libertà, se non si capisce questo concetto significa che si intende la legge come comando e non come prescrizione e via della beatitudine. L’uomo è capace di esprimere al massimo la sua potenza e di giungere quindi alla costituzione dello Stato democratico quando segue la guida della ragione e vive unicamente secondo il suo dettame.

Filosofo che ebbe una profonda influenza su Spinoza fu Cartesio su cui scrisse i Principi della filosofia di Cartesio, Spinoza a differenza di Cartesio concepisce la mente umana non tanto come sostanza assolutamente pensante ma come determinata da idee che seguono le leggi naturali. Spinoza fu anche molto critico riguardo taluni aspetti della filosofia di Cartesio ma comunque considerava la filosofia cartesiana propedeutici alla sua. Marx fu un appassionato lettore di Spinoza.

La vera filosofia per Spinoza ha un fine pratico: quello di indicare agli uomini la via per la realizzazione della vita buona. Riguardo alla teoria della verità Spinoza scrive che essa consiste nel purificare l’intelletto da ogni falsa immagine, e la certezza è data dallo stesso possesso di un’idea vera, il rapporto tra scienza è metodo è così capovolto: non perché vi è metodo che è possibile la scienza, ma poiché vi è scienza è possibile un metodo. È impossibile secondo Spinoza dubitare di una verità matematica e similmente in etica il metodo consiste nell’intendere cosa sia idea vera. L’Etica di Spinoza sembra un trattato di matematica ma tratta di questioni etiche e teologiche servendosi del metodo geometrico.

L’importanza di Mandeville secondo Marx sta nella sua apologia dei vizi e quindi dei difetti della società moderna. Ad esempio nella Favola delle api[10] racconta la vita di un ricco alveare in cui il filosofo esplora i vari vizi umani tra cui la lussuria che contribuisce alla crescita della popolazione e quindi della prosperità economica; le passioni egoistiche hanno un ruolo di primo piano nella società l’avarizia viene considerata il motore dell’attività economica; l’invidia spinge le persone a migliorarsi; il consumo dei beni di lusso incoraggia il commercio la superbia contribuisce all’ambizione e quindi all’innovazione. La virtù poteva ostacolare questo processo di miglioramento. Marx invece collega l’etica alle condizioni sociali ed economiche sotto cui l’individuo vive.

Condillac era uno scolaro di Locke, scrive Marx, che ha combattuto la metafisica mediante il sensismo lockiano. Ritiene che le esperienze sensoriali siano fondamentali per la conoscenza e l’apprendimento.

Una delle modifiche principali che Condillac apporta al pensiero di Locke consiste nella sua concezione della riflessione considerata un punto di svolta all’interno dello spirito; come modo in cui la ragione utilizza le altre operazioni subalterne, la riflessione è lo strumento con cui la ragione dirige le altre operazioni dell’anima. L’immaginazione ha la funzione di conservare la percezione degli oggetti assenti. Per l’intelligenza è necessario il legame fra idee ed essa opera per mezzo della riflessione e della memoria che si servono di segni artificiali e si sviluppa mediante il linguaggio.

Helvétius è il filosofo che secondo Marx ha dato fondamento alla morale di Bentham, e secondo Marx con Helvétius il materialismo acquista delle caratteristiche proprie che seguiranno poi in tutto il materialismo francese successivo, concepisce il materialismo collegato alla vita sociale.

Marx vede in Helvétius l’intermediario tra il filone inglese del materialismo rappresentato fra gli altri da Bacone, Hobbes e Locke e il comunismo anglo-francese. Bentham fonda sulla morale di Helvétius il suo sistema. Helvétius oltre ad essere un filosofo di rilievo per la sua critica della metafisica è importante perché nel suo materialismo etico vi sono i germi del materialismo come umanesimo reale nonché base logica del comunismo. In Helvétius vi è infatti la consapevolezza di come sia impossibile conciliare la felicità di tutti con la proprietà privata anche se cerca di conciliare teoricamente eguaglianza e proprietà privata senza infatti riuscirci appieno. Scrive Marx riprendendo Helvétius che gli uomini non sono per natura cattivi ma perseguono i loro interessi, non bisogna quindi rimproverare gli uomini di cattiveria quanto i legislatori di ignoranza perché pensano l’interesse particolare in opposizione all’interesse generale senza saperli conciliare. L’etica va unità alla legislazione e la legislazione deve essere il più possibile illuminata e priva di ignoranza.

Holbach secondo Marx connette il materialismo francese con quello inglese e riprende la trattazione morale di Helvétius. Scrisse il Sistema della natura e Il buon senso. Sosteneva il diritto dei popoli alla rivoluzione quando lo Stato fosse diventato intollerabile. Fonda la morale sul concetto di felicità e sull’interesse della collettività. L’uomo secondo Holbach è infelice perché non conosce la sua natura. La natura è il tutto in cui l’uomo si trova, e gli esseri al di là della natura sono frutto dell’immaginazione. L’uomo come essere fisico è condizionato da influenze sensibili, gli errori derivano dai pregiudizi e dalla mancanza di adeguate esperienze; anche la volontà umana è prodotta da influenze esterne. La vera morale, scrive Marx riprendendo Holbach, è quella che cerca di riunire gli uomini allo scopo della ricerca della felicità collettiva e la morale religiosa non ha mai prodotto questo effetto.

Dalla morale di Bentham, Owen parte per costruire il comunismo utopistico inglese cui Marx guarda con una certa simpatia, seppur lo critichi in quanto non reale, non basato su teorie scientifiche. In Bentham è particolarmente rilevante il concetto di felicità per il numero maggiore possibile di persone: l’etica di Bentham è di tipo utilitaristico e si pone come scopo il bene della collettività. Egli difende la libertà personale ed economica, il laicismo dello Stato e la libertà di pensiero. Da Bentham Marx riprende l’idea che l’interesse collettivo ha priorità rispetto all’interesse dei singoli cittadini e lo critica affermando che gli interessi individuali sono i soli interessi reali in quanto gli interessi della collettività, senza quelli individuali, rappresentano una semplice astrazione.

Proseguendo facendo qualche accenno sui protagonisti della storia del materialismo troviamo Hartley che scrisse nel 1749 Considerazioni su l’uomo la sua struttura, i suoi doveri e le sue speranze dove discute di psicologia e di teologia: nella parte psicologica cerca di ricondurre il pensiero e le sensazioni alle vibrazioni del cervello, e afferma che l’uomo di suddivide in corpo e anima, il corpo è visto come lo strumento dell’anima e il cervello è lo strumento delle sensazioni e del pensiero e a ciascuna modificazione dello spirito corrisponde a una qualche modificazione del corpo.

Pierre Bayle fu secondo Marx il critico rigoroso della metafisica mediante lo scetticismo e ha confutato in particolar modo la metafisica di Spinoza e Leibniz; ha privato di ogni credibilità la metafisica mediante l’uso di un serrato e brillante scetticismo e ha difeso l’ateismo. Bayle riprende Cartesio ma lo oltrepassa nel materialismo: a differenza di Cartesio non cerca di conciliare fede e scienza ma ne sottolinea le differenze; scrisse il Dizionario storico e critico dove con stile scettico e vivace si prende gioco della metafisica e della teologia.

Proseguendo nella sua trattazione, Marx nella Sacra Famiglia afferma che il materialismo meccanicistico francese ha il suo centro in Lamettrie e riprende la fisica cartesiana in contrasto alla metafisica tradizionale. Con Lamettrie, infatti, si assiste all’unificazione del materialismo cartesiano e a quello derivante da Locke. Con le sue parole: «Occorre spezzare la catena dei pregiudizi e armarsi della fiaccola dell’esperienza per rendere alla natura l’onore che merita […]. Il materialista poi, convinto di non essere altro che una macchina o un animale, checché gli sussurri la sua vanità, non maltratterà mai i propri simili, essendo troppo istruito sulla natura di tali azioni. […] In conclusione, azzarderei dunque che l’uomo è una macchina e che in tutto l’universo non c’è che una sola sostanza diversamente modificata»[11].

Il pensiero di Lamettrie sulla natura dell’uomo riprende la nozione cartesiana di meccanicismo, estendendola al materialismo e radicalizzandola: nella sua opera “L’uomo macchina”, egli critica aspramente tutta la metafisica e la teologia, soprattutto al fine che esse non si mescolino con le scienze e per ridare la giusta importanza al valore dell’esperienza e della ricerca empirica, guardando in special modo alla scienza medica. Lamettrie, come detto, considerava il corpo come una macchina, non diversa dagli altri animali; le facoltà dell’anima dipenderebbero infatti dal corpo e non sarebbero costituite da una sostanza di tipo differente. Il pensiero è risultante anch’esso dalla struttura della macchina umana e dipende in gran parte dalla facoltà del linguaggio.

Da un punto di vista etico, un fondamento importante della morale è la seguente regola: «non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te»; agire seguendo il bene, infatti, provoca piacere in chi lo fa e questo è già il suo premio. Inoltre, Lamettrie, pone molta importanza all’educazione data: nei buoni prevale l’interesse pubblico sul privato, mentre nei malvagi il contrario[12]. L’esperienza e l’osservazione sono le guide che portano alla verità. Egli si oppone dunque col materialismo alle metafisiche astratte a partire da quella aristotelica.

Ancora, un filosofo che cercherà di fornire una teoria della conoscenza su base empirica è Locke e in special modo nel suo Saggio sull’intelletto umano. L’orientamento materialistico di Locke, la sua fiducia negli uomini e nella loro eguaglianza, e l’insistenza sull’importanza dell’educazione sono, secondo Marx, tutti valori che andranno a comporre il socialismo e il comunismo. L’opera principale di Locke, che secondo Marx avrà un influsso molto significativo su tutto il materialismo, è il Saggio sull’intelletto umano. Egli distingue tre generi di oggetti o proposizioni che possono essere proposte all’assenso dell’uomo: quelle costruite su idee chiare e perfette, quelle contrarie alle nostre idee chiare e perfette, quelle superiori al nostro intelletto. Le prime non richiedono l’aiuto della fede e costituiscono l’ambito di stretta competenza della ragione; le seconde sono estranee sia all’ordine della ragione sia a quello della fede, essendo in antitesi con ogni possibilità conoscitiva; per le terze, infine, dobbiamo ricorrere alla rivelazione in quanto esse si annoverano sotto il dominio della fede. Essa non cancella i confini della conoscenza, non scuote i fondamenti della ragione, ma ci lascia il completo uso delle nostre facoltà.

Nell’economia della speculazione filosofica è significativa la distinzione lockiana tra ciò che è secondo ragione e ciò che è contrario alla ragione: mentre Cartesio aveva fornito le regole di un metodo basato sul contenuto delle idee e sull’esercizio controllato del giudizio, Locke preferisce invece ricostruire passo dopo passo la formazione delle idee a partire dalla loro origine. Egli non segue né Cartesio nella sua complessa psicofisiologia basata sui rapporti fra mente e corpo né Hobbes, che aveva fondato una psicologia materialistica basata sul funzionamento meccanico. Locke disquisisce della teoria della conoscenza e si scaglia contro l’innatismo, affermando che non ci sono principi né idee innate: infatti, ogni idea ha origine dall’esperienza[13]. Secondo Locke, vi sono due tipi di idee: semplici e complesse. Inoltre, le idee si suddividono anche in idee di sensazione e in idee di riflessione.

La percezione è vista come la prima idea semplice della riflessione. Tramite la conservazione delle idee si ha poi la contemplazione e la memoria ovvero la capacità di far rivivere nello spirito le idee del passato che sono state impresse. Le idee complesse sono la combinazione di più idee semplici da parte dello spirito; esse possono essere di modi, di sostanze o di relazioni. L’idea più semplice e universale è quella di numero o, meglio, di unità numerica: anche per i numeri, infatti, sono necessari i nomi e quindi il linguaggio; senza il linguaggio non si avrebbe che un coacervo caotico confusionario legato alle sensazioni, ma non numeri chiari. Alcuni dei modi di pensare sono la sensazione, il ricordo e la riflessione. Perfino l’idea di Dio viene formata a partire dai sensi, dalle cose esterne, formando l’idea complessa di infinito e di maggiore perfezione di cui il nostro spirito è capace. Dio è quindi inconoscibile nella sua essenza e la sua idea è resa nello spirito a partire da idee semplici mediante la sensazione e la riflessione.

Per quanto riguarda la sua riflessione politica, essa fu influenzata dalla guerra religiosa in Inghilterra che lo portò alla scrittura degli scritti sul Magistrato civile e sui Saggi sulla legge di natura. Alla domanda se il magistrato civile possa legittimamente imporre l’uso di cose indifferenti in relazione al culto religioso Locke non esita a dare la sua risposta affermativa[14]: l’uomo, infatti, in queste cose non regolate dalle leggi di natura è naturalmente libero. Non solo, ma è così padrone della propria libertà che può per contratto trasferirla ad un altro ed investire quest’ultimo di un potere sulle proprie azioni, dal momento che non c’è nessuna legge di Dio che proibisca ad un uomo di disporre della propria libertà e di obbedire ad un altro uomo. Poiché la tendenza degli uomini è quella di affermare la propria religione fino al fanatismo religioso, il culto religioso è una questione che intercorre soltanto fra l’uomo e Dio e non deve avere nulla a che fare col governatore se ciò non turba la pace della comunità; se invece le credenze religiose dovessero superare la sfera privata e ad andare a incidere sulla costituzione, diventa compito del magistrato legiferare e intervenire. Non è compito del magistrato gestire la questione del bene o delle anime, ma a lui è affidato il compito di garantire la sicurezza e la tranquillità della vita degli uomini e della società. In Locke, dunque, vi è una progressiva distinzione tra gli ambiti della religione e quelli della politica: non bisogna lasciare la società al pericolo di essere straziata e fatta a pezzi da chiunque invocando la propria coscienza religiosa con una spada.

Il tema della legge della natura[15] fu per Locke oggetto di attenti studi, ponendosi anzitutto la domanda se l’uomo al momento della nascita rechi in sé connaturate le leggi di natura che indicano qual è il suo dovere. Mentre le dottrine platoniche e cartesiane si basano sull’idea che l’anima umana, al momento della nascita, abbia già qualcosa in sé e sia in grado di ricevere ogni sorta di impressione, molti argomenti inducono a pensare l’opposto: infatti, i bambini e i popoli primitivi che vivono solo secondo natura non conoscono questa legge meglio degli altri e ciò fa pensare che essa non sia già insita in loro. Gli uomini, per natura, si trovano in uno stato di perfetta libertà, entro i limiti della legge naturale, senza obbedire alla volontà degli altri. Niente è più evidente del fatto che creature della stessa specie sono indifferentemente nate per godere degli stessi doni della natura e usare le stesse facoltà senza avere subordinazione ad altri. Poiché siamo forniti di eguale facoltà e partecipi di una comune natura, non si può supporre fra noi una subordinazione tale che ci autorizzi a distruggerci a vicenda, come se fossimo stati creati gli uni ad uso degli altri. Benché la Terra e tutte le creature inferiori siano apparentemente alla portata di tutti, l’uomo ha aggiunto col suo lavoro qualcosa che esclude il comune diritto degli altri uomini e da qui nasce la proprietà. Per questi motivi, dunque, John Locke rientra tra i progenitori filosofici di Marx: egli è infatti un baluardo dell’empirismo britannico e le sue teorie politiche sono critiche nei confronti dell’autorità monarchica; inoltre, seguendo la legge di natura, egli interpreta gli uomini come originariamente buoni e disponibili alla cooperazione.

Come detto, la Sacra Famiglia è un’opera critica verso la filosofia dei fratelli Bruno ed Edgar Bauer, esponenti del gruppo berlinese dei giovani hegeliani. Bruno Bauer è allievo del teologo Marheineke e diventa una figura di riferimento per i giovani hegeliani, tanto è vero che Marx si scaglia contro la loro posizione idealistica. Marx, infatti, inizia ad avere interesse per Bauer già dal 1837, quando si registrano tra i due degli scambi di idee piuttosto intensi, al punto che il pensatore tedesco diviene un assiduo frequentatore di casa Bauer, il quale si prodiga di consigli verso il giovane studente e lo sprona a concludere gli studi all’università di Berlino, in modo da potersi unire alle sue battaglie filosofiche. Effettivamente, Marx lo raggiunse poi all’Università di Bonn[16] dove vuole coinvolgerlo alla redazione di una rivista dedicata alla critica della religione e della teologia assieme a Feuerbach. In quel periodo vi è una grande intesa tra Bauer e Marx: questo sodalizio durerà sino al 1840 e darà alla luce anche importanti lavori, tra cui delle recensioni sulle lezioni hegeliane sulla filosofia e sulla religione. Con il passare del tempo, inizia poi un distacco di vedute, soprattutto quando Marx, divenuto editore, rifiuta di pubblicare articoli di membri del gruppo di Berlino che facessero capo a Bauer. Marx, infatti, rifiuta l’impostazione degli attacchi indiscriminati dei liberi (il gruppo di Berlino che faceva capo Bauer) alla religione, in quanto la considerava un’entità autonoma staccata dalla politica. Da questa differenza di vedute sulla religione nascono reciproci attacchi finché la loro amicizia giunge alla rottura.

Nonostante tutto, però, Marx, avendo subito una grande influenza da Bauer, è in sintonia coi giovani hegeliani e quindi, dopo aver difeso incondizionatamente le sue lezioni sulla storia della filosofia di Hegel, sostiene che quest’ultimo non avesse adeguatamente messo in rilievo i sistemi post-aristotelici, considerati la chiave per ricostruire la vera storia della filosofia greca.

Nelle Lezioni di storia della filosofia, Hegel considera la filosofia post-aristotelica come filosofia dell’autocoscienza e la ritiene inferiore al pensiero classico; Bauer apprezza molto il pensiero ellenistico come una forma elevata di sviluppo dell’autocoscienza e Marx concentra la propria attenzione sulle scuole post-aristoteliche. Anche nella critica alla religione inizialmente Marx si tiene vicino alle posizioni di Bauer[17], la questione del rapporto tra l’emancipazione politica e la religione umana diviene la questione tra l’emancipazione politica e l’emancipazione umana: sente l’influenza di Bauer nell’attribuire alla filosofia il compito di smantellare le mistificazioni religiose e politiche: in questo periodo gli scritti marxiani qualificano la religione come illusoria e la paragonano ad un sogno. Tuttavia, Marx poi si discosta dalla posizione di Bauer: mentre quest’ultimo sostiene che vi sia una relazione di reciprocità tra Stato e religione, Marx afferma che è l’uomo a fare la religione e non il contrario. Essi producono la religione, che viene definita «una coscienza capovolta del mondo»[18].

Anche sul tema dell’alienazione sono riscontrabili delle polemiche contro l’amico di un tempo: secondo Marx, infatti, il passaggio dalla religione dello Stato alla religione privata non può risolvere il problema fondamentale della società civile. Le trasformazioni democratiche, comprese le abolizioni dei privilegi, non possono risolvere il problema dell’alienazione sociale ancorata nello sfruttamento. Scrive Marx che «la società feudale fu risolta non dalla divisione fra Stato e religione ma nel suo fondamento, e cioè l’uomo». L’uomo, infatti, in quanto membro della società civile, è ora la base, il presupposto dello stato politico: egli è riconosciuto come tale grazie ai diritti dell’uomo. Solo l’emancipazione umana lo rende cittadino dello Stato e membro della società civile.

Non a caso, Bauer parla dello Stato cristiano come della realizzazione statale della religione, mentre, secondo Marx la religione serve come complemento dello Stato: lo stato democratico, infatti, non ha bisogno della religione per il proprio completamento politico, anzi, può astrarre dalla religione; lo Stato cristiano non riconosce il cristianesimo come proprio fondamento, come religione di Stato, ma lo confina tra gli altri elementi dello Stato civile, identificando un’organizzazione atea.

Se nella Sacra Famiglia si afferma che il materialismo di Feuerbach è il predecessore di quello storico, Karl Marx nelle Tesi su Feuerbach lo critica aspramente. Feuerbach, secondo Marx, è il filosofo che ha contrapposto una filosofia sobria alla metafisica ubriaca e sensazionalistica di Hegel. Per Feuerbach, socialismo significa partecipazione alle sorti delle altre persone, buone o cattive che siano, senza una precisa connotazione politica. Feuerbach contribuì a far perdere credito all’idealismo e a diffondere una filosofia su base scientifica grazie alle scoperte nel campo delle scienze naturali; egli era un punto di riferimento per il nuovo materialismo che andava diffondendosi: oltre a pensare una continuità tra la natura inorganica, gli animali e gli uomini, egli teorizzava la natura inorganica come viva e come fondamento della natura organica; infatti, si può pensare solo quando il cuore pompa sangue al cervello[19]. In ogni caso, secondo il filosofo la chimica non era in grado di spiegare a fondo gli organismi viventi, ma era semplicemente la loro base materiale: il cervello è l’organismo con cui la materia pensa. Feuerbach, infatti, non pensava al materialismo come un sapere omnicomprensivo del sapere, ma come ad una parte importante di esso: la vita è costituita dagli stessi elementi dei corpi materiali inanimati ma con una congiunzione del tutto particolare.

A livello etico-politico la posizione di Feuerbach è che l’obbiettivo supremo consiste nella ricerca della felicità[20], da ricercarsi nella vita terrena, e a questo proposito delinea una teoria del progresso per la felicità, per imparare il vivere civile dall’esperienza e nel porsi limiti al fine di riconoscere i diritti altrui. L’impulso alla felicità è positivo quando è in armonia con quello degli altri; inoltre, per stabilire una vera morale è importante la partecipazione empatica alla sorte altrui. Questa è la definizione propria di socialismo: la partecipazione empatica e altruistica alla sorte felice o infelice degli altri, che si può anche chiamare amore[21]. Ogni uomo ha un carattere proprio e delle inclinazioni che possono essere corrette dalla volontà che rappresenta il centro dell’individuo: la libertà non è totale ma condizionata dalle inclinazioni e dalle circostanze esterne. Per vivere, l’uomo ha bisogno della natura, così come degli altri, e in entrambi i casi il segreto della felicità sta nel riconoscere come razionali i limiti posti ai desideri. Feuerbach cerca di costruire un’etica della felicità, la volontà significa volontà di essere felice ed è questa l’essenza dell’uomo, di tutti gli uomini. La felicità è lo stato sano di un ente, la sua soddisfazione, la morale consta nel reciproco riconoscimento del diritto alla felicità altrui ed il ruolo della legge è la tutela della felicità[22].

Marx scrive su Feuerbach e lo critica dicendo che egli descrive le qualità della scienza della natura e della chimica ma non considera che senza l’industria e il commercio non sarebbe possibile neanche la scienza e anche il suo scopo si trova nell’industria. Feuerbach ha il merito rispetto ad altri materialisti di considerare l’uomo come oggetto sensibile ma resta sul terreno della teoria astratta senza pensare gli uomini nelle loro condizioni di vita e relazioni sociali. Non critica i rapporti sociali esistenti mentre il materialista comunista sente la necessità di un cambiamento nell’industria e in generale della struttura sociale; Feuerbach non riesce a concepire il materialismo storico, per lui materialismo e storia sono separati.

Per Feuerbach la religione non era stata un argomento scoperto attraverso i libri ma un’esperienza vissuta con grande serietà. Come tanti altri giovani del suo periodo partecipò di quel movimento di rinascita religiosa che si era diffuso in tutta Europa nei primi decenni del secolo diciannovesimo. Al ginnasio non lesse soltanto la Bibbia ma anche altri libri ecclesiastici. L’interpretazione filosofico-speculativa della religione di questo periodo non era sentita da lui in contrasto della sua pratica religiosa tradizionale, durante gli anni dell’Università cominciò a diventare un filosofo della religione interessato a definirne l’essenza più che a seguirne lo svolgimento e, mentre Hegel definiva il cristianesimo come l’autentica manifestazione della religione, Feuerbach era incline a ricercare il carattere religioso nelle forme più primitive. Si allontanò sia dalla pratica religiosa sia dagli studi teologici, non fu antireligioso ma la forma storica del cristianesimo non gli sembrava più idonea ad esprimere l’universalità e la razionalità di Dio, la Palestina era troppo stretta se rapportata al mondo mentre il cristianesimo era ormai superato nella filosofia e nello spirito scientifico moderno, in questo periodo (1828) Feuerbach respinge l’idea di un possibile accordo fra religione e filosofia[23] e contro l’idea di una filosofia, una scienza, un’etica cristiana scriverà una delle sue pagine più violente.

La religione per Feuerbach è anche una forma essenziale dello spirito umano in quanto spirito del popolo, le diverse religioni hanno quindi un fondamento comune e quindi leggi comuni, dichiara addirittura che le religioni possono avere un contenuto irreligioso, a determinare cosa sia vera religione potrebbe essere il concetto che essa ha di Dio, ma quest’ultimo non è specifico, quello che è specifico è che qualcosa venga dichiarato divino ma quando la religione nel fare questo non si ispira alla ragione e alla morale naturale, si apre allora la strada a tutti gli orrori della storia delle religioni. La religione è sì una forma essenziale dello spirito umano ma non ha un proprio contenuto, diversa dalla filosofia e dalle scienze che hanno un oggetto e anche dall’etica che ha il compito di generare caratteri aperti, nobili, naturali. Alla religione Feuerbach non riesce ad attribuire niente di positivo. Gli aspetti condannabili della religione sono le forme definite e la dogmatica, cioè l’organizzazione della Chiesa. alla sincerità ribelle ed anarchica dei primi cristiani segue quella autoritaria ed organizzata della Chiesa ed è su questa che egli costruisce la sua immagine del cristianesimo. Il cristianesimo per questi motivi non è una religione genuina.

La religione non ha nulla a che fare con la filosofia, essa deriva da atteggiamenti dell’animo umano che per loro natura non sono suscettibili di progresso perché fondati su bisogni o istanze elementari, cioè i semplici atti di devozione e di preghiera sono espressioni di reali bisogni umani. Posta la originarietà dei bisogni da cui derivano le religioni non si può pensare di eliminarli; il problema è pertanto di garantire per essi un soddisfacimento non illusorio ma reale. Il vero problema del cristianesimo secondo Feuerbach era la struttura sentimentale che stava alla base dei singoli atteggiamenti religiosi, perché in esso è espresso il bisogno umano di amore.

L’essenza del cristianesimo (1841) è l’opera più famosa di Feuerbach e mira a dimostrare che ogni religione è l’espressione dell’uomo ad oggettivare se stesso nel concetto di Dio, la cui infinità rispecchia le aspirazioni umane. L’uomo nel cristianesimo è impotente e negativo, subordinato alla perfezione di Dio. Dio come somma bontà diventa l’ente al quale l’uomo si rivolge con la preghiera. Il compito del filosofo è spiegare che il contenuto del cristianesimo è soltanto umano. Gli uomini hanno limiti creano Dio a cui attribuiscono tutte le qualità umane all’ennesima potenza, le imperfezioni degli uomini diventano perfezioni in Dio.

Feuerbach si fa portatore del progresso dell’uomo[24] tenendo contro della sua natura umana, quindi della sua vera essenza, ad esempio il richiamo alla religione della natura come primo ed elementare riconoscimento della sua propria base, questo ritorno è necessario perché gli uomini di fatto, hanno venerato la natura prima di venerare gli dei e anche in seguito li hanno invocati quando si sono sentiti minacciati dalle forze naturali. Il prendere atto di ciò fa scomparire qualsiasi radice spirituale della religione.

Marx riconosce a Feuerbach il merito di aver spiegato la religione in termini di essenza umana ma gli rimprovera di considerare ancora l’essenza umana in maniera astratta e non nell’insieme dei rapporti sociali, Feuerbach astrae dalla storia e presuppone un individuo astratto non comprende ancora che il sentimento religioso è un prodotto sociale immerso nel corso della storia reale, la questione non è meramente accademica o teologica ma si trova nella prassi.

Il motto di Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia” potrebbe sembrare una semplice provocazione alla metafisica e in parte lo è, però non bisogna dimenticare quanto l’alimentazione sia importante e non così scontata. Porre l’accento sull’importanza della nutrizione per l’uomo ha il significato di sottolineare come ancora al giorno d’oggi nel mondo secondo il rapporto della Fao più di 800 milioni di persone, una su nove, sono gravemente denutrite: ciò significa cercare di portare la filosofia fuori dalla torre d’avorio metafisica e vicina alla gente[25]. Secondo Marx il vizio dei materialismi precedenti è che la realtà viene concepita come un oggetto esterno e non dal punto di vista umanista come attività umana, e il vizio di Feuerbach in particolare è che non pensa l’attività umana come oggetto attivo e così non comprende il significato di attività rivoluzionaria critica.

In conclusione, dunque, il materialismo di Marx si differenzia dalle precedenti forme di materialismo in quanto materialismo storico propriamente detto: il materialismo in Marx è alla base del suo modo di concepire la storia, è parte integrante e fondamentale della filosofia della storia marxista. Il materialismo va inserito soprattutto nel modo di interpretare la storia, che non è il manifestarsi dello spirito, ma la conseguenza dello svilupparsi del lavoro e delle modalità di produzione, di cui mi accingo a trattare nel prossimo capitolo.




[1] G. Giglioni, Francesco Bacone, Carrocci, Roma, 2011, p. 13.

[2] Ivi, p. 20.

[3] R. Descartes, Discorso sul metodo, traduzione italiana di M. Garin, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 11.

 

[4] T. Gregory, Pierre Gassendi, in Grande Antologia filosofica, Marzorati, Milano, 1968, p. 727.

[5] Ivi, p. 784.

[6] Marx K., Quaderno Spinoza, a cura di Filieri Ludovica, Giunti Editore, Milano, 2022.

[7]Ivi, p. 282.

 

[8] Ivi, p 283.

 

[10] Cfr. A. Branchi, Introduzione a Mandeville, Laterza, Roma-Bari, 2004. p.41.

 

[11] Cfr. J.O. La Mettrie, L’uomo macchina, traduzione italiana di Polidori F, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2015 (Edizione originale: L’Homme machine, 1747) pp. 68-69.

[12] Cfr. F.A. Lange, Storia critica del materialismo, traduzione di Angelo Treves, Editrice Monanni, Milano, 1932, p. 369.

[13] J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, De Agostini, Novara, 2013, p. 55.

[14] M. Sina, Introduzione a Locke, Laterza, Bari-Roma, 1982, p.11.

[15] Ivi, p. 43.

[16] Cfr. A. Gargano, Bruno Bauer, La città del sole, Napoli, 2003, p. 136.

 

 

[19] Cfr. C. Cesa, Introduzione a Feuerbach, Laterza, Roma-Bari 1978, p. 106.

[20] Ivi, p. 119.

[21] Ivi, p. 128.

[22] Cfr. U. Perone, Invito al pensiero di Feuerbach, Mursia, Milano, 1992, p. 165.

[23] C. Cesa C., Introduzione a Feuerbach cit. p. 65.

[24] Ivi p. 102

[25] L. Feuerbach, L’uomo è ciò che mangia, a cura di A. Tagliapietra, Bollati Boringhieri editori, Torino, 2017.








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